06/11/2024
Una persona che reputo decisamente una bella persona... Cristiano🔥
PARE CHE TRUMP ABBIA VINTO LE ELEZIONI STATUNITENSI. E l’uso del “pare” non è legato all’eventualità che il risultato possa ribaltarsi a favore della Harris nelle prossime ore, ma semplicemente alle dimensioni di questa vittoria: pare, appunto, colossali. Sul come e il perché Trump possa aver colto questo nuovo successo si possono dire tante cose. La prima è che evidentemente ogni volta che un bell’attore impomatato o una fantastica attrice scintillante, in questi ultimi mesi, ha preso la parola e alzato un calice di champagne per invitare a votare per la Harris, un elettore democratico è morto. Talmente profondo, infatti, è il fossato tra il Paese dei privilegi – di censo, ma anche di status – e quello ridotto a una grigia sopravvivenza, che affidare messaggi di qualunque tipo ai rappresentanti dell’élite equivale a continuare a scavare verso un fondo in cui si tocca già con mano quella guerra civile a bassa (per il momento) intensità che attraversa le strade americane. Su queste stesse strade, i veri protagonisti, sono gli stessi soggetti estranei al teatrino elettorale. Viene sempre dimenticato, infatti, che sebbene queste elezioni abbiano registrato un’affluenza da record, tale “record” non va oltre il 66% degli aventi diritto, un numero ovviamente incapace di fare i conti anche con i tantissimi e le tantissime che questo diritto non lo hanno affatto: il popolo sottoproletario, spesso senza alcun documento, a cui è a stento riconosciuta – o non è riconosciuta affatto – la possibilità di ti**re avanti negli Stati Uniti accettando condizioni di lavoro semischiavili nella totale assenza di ammortizzatori sociali di qualunque tipo. In questa massa, chi continua a schierarsi, in ogni parte del mondo, sul “lato cattivo della storia”, trova “la gente come noi”. E la posizione, l’unica sostenibile, che riprendendo le parole pronunciate da un compagno dell’IWW all’indomani della fu vittoria di Biden, recita: «Abbiamo lottato contro Trump, continueremo a lottare contro il suo successore».
Tra le diverse analogie tra gli Stati Uniti e noi, quella più interessante riguarda il fatto che nella polarizzazione tra una falsa sinistra e una vera destra, è la seconda quella in grado di compattare i consensi, rimuovendo le differenze di classe grazie alla capacità di utilizzare con disinvoltura strumenti in grado di dispensare orizzonti di senso: che sia l’integralismo religioso, il terrapiattismo, il creazionismo biblico (la Terra venne creata da Dio nel 4004 avanti Cristo…), il razzismo neoariano, il nazismo di marca proud boys o il sessismo apocalittico (secondo i famigerati incel, le donne dovrebbero essere consegnate ai maschi bianchi direttamente dallo Stato…), tutto trova diritto di cittadinanza nel dispiegarsi di un futuro complottista, in grado di decapitare la piovra demo-pluto-giudaica e conquistare la felicità. Che in tutto ciò i poveri non potranno che essere sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi, poco importa, nel momento in cui le proposte della falsa sinistra continuano ad avere l’appeal sociale di un happening della croce rossa: con i poveri sempre più poveri e in più imbottiti di messaggi – decliniamoli restando su una sponda europea degli Stati Uniti come l’Italia ,con le sue 120 basi americane… – infarciti di ridicoli richiami alla “responsabilità” e conditi con l’immancabile diktat del “celochiedeleuropa”. Privatizzare la sanità? Celochiedeleuropa. Smantellare la scuola? Celochiedeleuropa. Appaltare ai privati le tratte più redditizie e annientare il trasporto pubblico? Celochiedeleuropa. E, dulcis in fundo, armare l’Ucraina e sostenere il genocidio in Palestina insieme all’escalation bellica (non solo) in Medio Oriente? Celochiedeleuropa. E pure l’indiscutibile collocazione atlantica del nostro Paese, of course.
E a proposito di collocazione atlantica, proprio la questione della guerra risulta centrale rispetto a qualunque analisi sulla vittoria statunitense di Trump. Il fatto che il tycoon non abbia perso tempo per rivendicare la vittoria affermando la sua volontà di «fermare le guerre» dovrebbe far riflettere sull’ennesimo paradosso della polarizzazione tra falsa sinistra e vera destra: è quest’ultima, infatti, ad attrarre le aspettative di pace e a tranquillizzare un’opinione pubblica molto più spaventata dalla guerra guerreggiata rispetto a quanto emerga dai media, per lo più dominati da messaggi oscillanti tra lo spezzeremo le reni alla Russia e la solidarietà incondizionata a Israele.
Che il concetto di “pace” di Trump sia effettivamente preferibile alla guerra può essere materia di discussione. Ma come è stato possibile che proprio una destra aggressiva e violenta come quella a stelle e striscia sia stata capace di capitalizzare la domanda di pace?
Per capirlo, alle nostre latitudini, dove la partecipazione elettorale sta superando in negativo (o in positivo, dipende dai punti di vista) quella degli Stati Uniti, credo sia sufficiente passare un po’ di tempo in qualunque bar diverso dai caffè e dagli enobistrò del centro. Perché ci sono possibilità più che fondate che, se domani Putin si presentasse alle elezioni qui in Italia, finirebbe non solo per invertire la tendenza all’assenteismo ma anche per ritrovarsi direttamente al governo. Come potrebbe essere altrimenti in un contesto in cui tutta la politica non fa che brillare per il contributo alla fame sempre più importante che dispensa a piene mani, senza che – dopo l’abolizione del reddito di cittadinanza – nessun genere di provvedimento appaia in grado di invertire questa rotta?
E allora, in qualunque bar diverso dai caffè e dagli enobistrò del centro, si può toccare con mano l’unico fatto rimasto a disposizione delle classi popolari, quell’antica legge secondo la quale il nemico del mio nemico è mio amico. E così, se il nemico dei politici è Putin, ecco che Putin non può che essere amico del popolo.
Naturalmente è proprio in questo frangente che dovrebbe scendere in campo una vera sinistra (che non si chiama “sinistra” ma comunismo…), avanzando proposte in grado di politicizzare questa inimicizia, declinandola dal basso verso l’alto, un luogo in cui non si finirebbe certo per osannare Putin o chi per lui, ma per ricondurre tutti i drammi della vita quotidiana – il caro vita, la crisi degli alloggi, il disastro ambientale, la guerra… – nell’unico contesto in grado di dare risposte concrete: la lotta di classe; la guerra, cioè, che chi non ha nulla muove a chi ha tutto, negando che un solo centesimo o che una sola vita umana finisca invece nel disastro inevitabile della guerra in cui già sprofondiamo: quella imperialista.
La destra, da parte sua, con Trump in testa, rilegge l’inimicizia di cui stiamo parlando tratteggiando la possibilità di anestetizzare il mondo in sfere di influenza precise, all’interno delle quali, in occidente, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, chi sta nel mezzo è anestetizzato con i benefit dovuti alla base sociale del consenso: l’appartamentino da affittare ai turisti esentasse, la badante da far lavorare in nero, il bagno messo a posto con pochi soldi grazie alla manodopera immigrata, il salotto nuovo da pagare in comode rate, il condono fiscale ed edilizio tramite il quale affittare esentasse pure il garage…
È probabile che la più grande contraddizione della sinistra occidentale, intendendo quella posizione che non si chiama “sinistra” ma comunismo, sia proprio questa: la difficoltà nel ritrovarsi e quindi nel riconoscersi in una base materiale alternativa allo stesso ceto medio – in cui è francamente davvero complesso riconoscere fattezze diverse da quelle del nemico – aggrappato con le unghie e con i denti ai privilegi coloniali che la destra alla Trump appare senz’altro più attrezzata della finta sinistra nel garantire.
La china, evidentemente, è stata discesa leggendo poco e male la lezione di Lenin e riducendo la contraddizione tra capitale e lavoro in un’opposizione tra lavoro dipendente e salariato e imprenditorialità variamente declinata, quando la vera domanda dovrebbe essere: qual è, oggi, la classe rivoluzionaria? Chi si trova nell’oggettiva posizione di non avere nulla da perdere se non le proprie catene?
E, in tutta evidenza, questa classe sociale è da tempo che si affaccia alla storia incrociando l’appartenenza di classe con quella di genere, su una linea del colore marcata in modo – Trump docet – sempre più violento.
Il borgataro di Roma, insomma, insieme alla donna palestinese, al manovale moldavo, al lavavetri indiano, all’occupante di casa marocchino, al facchino africano, al disoccupato e al sottooccupato di ogni dove. Quel poco – o molto, continua a dipendere dai punti di vista – di effervescenza sociale delle nostre latitudini viene esattamente da qui. Viene, in modo particolare, da dove la classe in sé inizia a mostrarsi in quanto classe per sé: nelle occupazioni abitative, nei nodi della logistica, tra i condannati a un’eterna “seconda generazione” in prima fila nelle manifestazioni a sostegno della Palestina… viene dalla gente come noi.
Noi che abbiamo lottato contro Biden mentre armava l’Ucraina e sosteneva Israele sulla strada del genocidio (a proposito, la Harris era al suo fianco...).
E che continueremo a lottare contro Trump, l'animale che porta sulla testa al posto dei capelli e i suoi lacchè italiani.
Perché da perdere abbiamo solo le nostre catene.