Michele Pacciana, giornalista professionista

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È inutile spiegare ad un normodotato, che il baricentro di una persona spastica, colpita o nata con una paralisi cerebra...
28/10/2023

È inutile spiegare ad un normodotato, che il baricentro di una persona spastica, colpita o nata con una paralisi cerebrale, é inevitabilmente spostato, come sono spenti parte dei suoi neuroni e delle sue sinapsi, che riguardano il movimento, la cognizione, l'orientamento, o anche solo l'equilibrio spaziale.
Questo comporterà una visione distorta sulla piattaforma spazio temporale, che porterà il soggetto in questione a delle pause incongrue nel compimento di movimenti e nel raggiungimento di luoghi, anche interni all'abitazione, con frequenti fermate intermedie.
La persona normodotata, o il caregiver, spesso non è in grado di decodificare questa progressione contingente e ne prova fastidio. Non di rado redarguisce la persona con disabilità o anziana, sperando che questa possa neutralizzare l'errore per una prossima volta.
Questo non avviene per il vulnus neurologico neurologico che c'è a monte e che il familiare o la persona curante, difficilmente riuscirà ad accettare.
Sta quindi alla persona disabile, qualora ne abbia le facoltà, di affrontare in silenzio le difficoltà e di placare le ansie altrui, magari opponendo un comportamento silente e operativo alle pulsioni ansiogene di chi gli sta di fronte.
Mai dire ad una persona ansiosa che lo è, mai invitarla a stare calma. L'unica cosa è assecondarla. Non è facile, ma risulta alla lunga, l'unica strategia vincente.
Perché chi vive l'handicap di riflesso è spesso oberato dal senso di impotenza e di frustrazione per non poter aiutare il proprio caro come vorrebbe e questo sovente si trasforma in rabbia incontinente, se non in nevrosi.
Siamo noi, persone con disabilità, a dover aiutare chi ci aiuta, calibrando l'istinto naturale con la ragione e con l'affetto, per spezzare il vortice di una difficile quotidianità.

Dentro i numeri di una statistica, ci sono persone e storie. Proprio quelle un giornalista deve trovare e raccontare.
23/10/2023

Dentro i numeri di una statistica, ci sono persone e storie. Proprio quelle un giornalista deve trovare e raccontare.

Testimonianza diretta
06/10/2023

Testimonianza diretta

Ho una tetraparesi neonatale, da anni guardo il mondo dall’alto di una carrozzina. A volte può anche essere una prospettiva stimolante, D’altronde dipende sempre dallo spirito col quale affronti le cose e la direzione verso cui poni lo sguardo.Ma per rilassare i muscoli ed avere una vita fisica...

I giornalisti non indagano più. Al massimo costruiscono una tesi e tendono ad avvalorare quella, non a ricostruire i fat...
21/09/2023

I giornalisti non indagano più. Al massimo costruiscono una tesi e tendono ad avvalorare quella, non a ricostruire i fatti e le storie.
Mi conosco uno che scava ancora: si chiama Nicola Borzi

STORIE MIGRANTINicola Perrone, (uncle Nick) nacque a Ginosa il 7 settembre 1913. Suo padre si chiamava Francesco, detto ...
09/09/2023

STORIE MIGRANTI
Nicola Perrone, (uncle Nick) nacque a Ginosa il 7 settembre 1913. Suo padre si chiamava Francesco, detto Ciccio Perrone. Sua madre, anche lei di Ginosa, si chiamava Maria Mele. Nick era il secondo di tre figli. La più grande, Rosa, detta Sisina, era nata nel 1911. Poi c'era Adelina, la piccola di casa, venuta al mondo nel 1915, proprio nei mesi di guerra, quasi fosse un dono di speranza.
La coppia visse bene, anche se con sacrificio, gli anni di matrimonio, Ma poi Maria si ammalò e morì di un brutto male. Erano gli anni del primo dopoguerra, l'Italia faceva la fame e nel meridione si soffriva ancora di più. Francesco non sapeva come ti**re su da solo i tre bambini piccoli. Il fratello di sua moglie, Pasqualino Mele, con i suoi anziani genitori, era emigrato negli Stati Uniti, come altri milioni di Italiani. L'America era il sogno di tutti per un futuro migliore. Anche Francesco si decise a fare il grande passo.
I suoi figli sarebbero cresciuti con i nonni. E lui avrebbe lavorato per tutti. Ormai l'unica cosa che contasse per lui erano i figli.
La famiglia Perrone, Francesco, Rosa di 10 anni, Nick di otto e Adelina di cinque, partirono da Napoli nel dicembre del 1921. Salirono sulla nave Taormina, come attestano i documenti dell'anagrafe dell'immigrazione italiana in America, che si puó ritrovare negli archivi di Ellis Island: www.ellisisland.org.
Nick aveva ancora i calzoni corti. Ricacciò le lacrime salate in gola e seguì suo padre sulla scala di imbarco. Aveva paura e forse non capiva neanche cosa significasse realmente attraversare il mare. Sulla nave c'era vento, la gente vomitava, qualcuno piangeva o pregava. In agguato era l'incubo del mal di mare e dello scorbuto. Immagino che Adelina fosse sempre attaccata alla mano del padre e Rosa cercava di fare la donna per quello che poteva e per i pochi anni che aveva.
Arrivarono a Ellis Island, il centro di smistamento dei migranti sull'isola di Manhattan, nel gennaio del 1922, la data è sempre nei documenti della fondazione per l'immigrazione.
Furono considerati idonei ad entrare negli Stati Uniti e presero il treno per Buffalo, dove li aspettavano lo zio Pasqualino e i nonni.
Ma dov'era Buffalo, alla fine del mondo?
Mi risulta che viaggiassero da soli, ma forse era andato a prenderli da New York Manhattan, proprio zio Pasqualino. Mi pare che Rosa, me lo abbia raccontato una volta.
Era inverno e faceva freddo a Buffalo. C'era tanta neve; e Nick non l'aveva mai vista, la neve.
I nonni erano molto affettuosi, Ma presto i tre ragazzi dovettero separarsi dal papà, che lavorava lontano, faceva il giardiniere a Yokers e tornava a Buffalo dopo mesi, quando andava bene veniva dopo tre settimane. Ed era una piccola festa.
I ragazzi dovettero diventare grandi sentendo la sua mancanza.
Appena arrivato a Buffalo, Nick fu mandato a scuola. Lo misero in prima elementare, Ma si accorsero subito che era un ragazzo molto dotato, intelligente, riflessivo e pacato, che non parlava mai a sproposito. Lo spostarono in terza classe. Appena entrato in aula, Nick cacciò un urlo e scappò fuori a gambe levate. Non era colpa sua, la maestra gli sorrideva. Ma lui, bambino italiano di 9 anni, non aveva mai visto una maestra nera e quel donnone dai denti bianchissimi, lo spaventava a morte.
Poi si fece coraggio e rientrò, sedendosi nei banchi.
In quegli anni Buffalo era grande e accogliente, ma anche spietata. Nick imparó la dura legge della strada: non gli piaceva fare a botte, ma se voleva sopravvivere doveva difendersi. Gli immigrati irlandesi erano appena un po' meno poveri degli italiani e se la prendevano con loro per qualsiasi cosa.
Molti italiani vendevano i gelati col carrettino e gli irlandesi, come mi raccontavano i vecchi immigrati, mettevano lo sterco di cavallo nella macchinetta dei gelati.
Nick imparò a battersi bene, a schivare i colpi. Ma non era quasi mai lui ad iniziare, rispondeva solo alle provocazioni.
A scuola andava bene. Era diventato un giovanotto promettente e fece anche due anni di college. Poi la famiglia gli chiese di lavorare.
Arrivò il proibizionismo Nick conosceva tutti i boss di Buffalo, ma a lui non importava. Studiava, lavoravo onestamente e tirava dritto.
Nessuno gli dava noia. La famiglia Perrone aveva trovato un nuovo focolare nella chiesa, forse in una delle tante parrocchie Italiane dove i padri scalabriniani aiutavano chiunque avesse bisogno. Il Signore li aveva protetti fin dal viaggio sulla nave e non li avrebbe mai più abbandonati. Nick ne era profondamente convinto, lo vedeva nei fatti. Non era bigotto, la sua fede era intima e forte, come chi affronta una vita dura.
Quando l'America entrò nel secondo conflitto mondiale, Nick fu arruolato. Fece lo sbarco in Normandia. Toccò la spiaggia insanguinata di Omaha beach, ma non parlò mai di quando la morte lo aveva guardato negli occhi.
Ricordava un po' di italiano, i nonni non avevano mai imparato bene l'inglese.
Lui sperava di essere destinato in Sicilia con il generale Patton, ma fu spedito in Belgio. Lì avrebbe trovato, l'unico suo grande amore, una ragazza di cui con me non fece mai il nome, come fa un vero gentiluomo.
Per me zio Nick, cugino di mia nonna, che si chiamava Rosa, come sua sorella maggiore, ha sempre rappresentato l'America che più ho amato: forte, semplice e schietta. Solida.

Nel 1957, Nick e sua sorella Rosa vennero in Italia, per il matrimonio di zia Maria, la sorella più piccola di mia nonna.
Al treno li andò a prendere mio zio, che si chiamava proprio come Nick, Nicolino Perrone. Non si conoscevano. Mio zio disse solo:«You, Nicola Perrone?»
«Yes!» - " rispose l'altro emozionato.
«Pure io, abbracciamoci!».
Quando andai in America, nel 1977, fui operato alle gambe e mi insegnarono a camminare, zio Nick e zia Rosa furono molto vicini a me e alla mia famiglia. Vennero da Buffalo a New York e mi prestarono anche mille dollari per pagare il dottore, mentre mio padre era in Italia a lavorare e mia madre non sapeva come fare.
Ho sempre voluto bene a zio Nick, fu lui ad insegnarmi le prime parole in inglese che non ho mai più dimenticato.
Quando è morto, zia Rose è venuta in Italia. Aveva una scatola per me. «È un regalo, disse estraendo con cura un bellissimo orologio a corda, era un Omega del 1944 - per Nick era un pegno d'amore, glielo aveva regalato l'unica donna che abbia veramente amato. Dopo la guerra le fece l'atto di richiamo. Ma lei non volle ve**re dal Belgio. Lui non si è mai più risposato. Portava sempre quell'orologio al polso.
Credo, disse zia Rose, che Nick avrebbe voluto che lo tenessi tu».
Ora quell'orologio è nel mio cassetto, pegno di un grande affetto.
Questo era zio Nick.
Nicola Perrone, (uncle Nick) was born in Ginosa on 7 September 1913. His father was called Francesco, known as Ciccio Perrone. His mother, also from Ginosa, was called Maria Mele. Nick was the second of three children. The eldest, Rosa, known as Sisina, was born in 1911. Then there was Adelina, the little one of the house, who came into the world in 1915, right in the months of war, as if it were a gift of hope.
The couple lived their years of marriage well, albeit with sacrifice. But then Maria fell ill and died of a terrible illness. These were the post-war years, Italy was starving and in the south people were suffering even more. Francesco didn't know how to raise his three small children on his own. His wife's brother, Pasqualino Mele, with his elderly parents, had emigrated to the United States, like millions of other Italians. America was everyone's dream for a better future. Francesco also decided to take the big step.
His children would grow up with their grandparents. And he would work for everyone. Now the only thing that mattered to him were his children.
The Perrone family, Francesco, 10-year-old Rosa, eight-year-old Nick and five-year-old Adelina, left Naples in December 1921. They boarded the ship Taormina, as attested by the documents from the registry of Italian immigration to America, which can be found in the Ellis Island archives: www.ellisisland.org.
Nick was still wearing shorts. He fought back the salty tears from his throat and followed his father up the boarding ladder. He was afraid and perhaps he didn't even understand what crossing the sea really meant. It was windy on the ship, people were vomiting, some were crying or praying. Lurking was the nightmare of seasickness and scurvy. I imagine that Adelina was always attached to her father's hand and Rosa tried to be a woman for what she could and for the few years she had.
They arrived at Ellis Island, the migrant processing center on the island of Manhattan, in January 1922, the date is always in the immigration foundation documents.
They were deemed eligible to enter the United States and took the train to Buffalo, where their uncle Pasqualino and grandparents were waiting for them.
But where was Buffalo, at the end of the world?
I understand that they were traveling alone, but perhaps Uncle Pasqualino himself had gone to pick them up from New York Manhattan. I think Rosa told me this once.
It was winter and cold in Buffalo. There was a lot of snow; and Nick had never seen snow.
The grandparents were very affectionate, but soon the three boys had to separate from their father, who worked far away, was a gardener in Yorkers and returned to Buffalo after months, when things went well he came after three weeks. And it was a small party.
The boys had to grow up missing him.
As soon as he arrived in Buffalo, Nick was sent to school. They put him in first grade, but they immediately realized that he was a very gifted, intelligent, thoughtful and calm boy, who never spoke out of turn. They moved him to third class. As soon as he entered the classroom, Nick let out a scream and ran out as fast as he could. It wasn't his fault, the teacher smiled at him. But he, a 9-year-old Italian boy, had never seen a black teacher and that big woman with very white teeth scared him to death.
Then he gathered courage and went back in, sitting down on the benches.
In those years Buffalo was big and welcoming, but also ruthless. Nick learned the harsh law of the street: he didn't like getting into fights, but if he wanted to survive he had to defend himself. The Irish immigrants were just a little less poor than the Italians and they picked on them for everything.
Many Italians sold ice cream from a cart and the Irish, as old immigrants told me, put horse dung in the ice cream machine.
Nick learned to fight well, to dodge blows. But he was almost never the one to initiate it, he only responded to provocations.
He did well at school. He had become a promising young man and even went to two years of college. Then the family asked him to work.
Prohibition came Nick knew all the bosses in Buffalo, but he didn't care. He studied, I worked honestly and he went straight.
Nobody bothered him. The Perrone family had found a new hearth in the church, perhaps in one of the many Italian parishes where the Scalabrinian fathers helped anyone in need. The Lord had protected them since their journey on the ship and would never abandon them again. Nick was deeply convinced of this, he saw it in the facts. He was not bigoted, his faith was intimate and strong, like someone facing a hard life.
When America entered World War II, Nick was drafted. He landed in Normandy. He touched the bloody shore of Omaha beach, but he never spoke of the time death had looked him in the eyes.
He remembered some Italian, his grandparents had never learned English well.
He hoped to be sent to Sicily with General Patton, but was sent to Belgium. There he would find his one great love, a girl whose name he never mentioned to me, as a true gentleman does.
For me, Uncle Nick, my grandmother's cousin, who was called Rosa, like his older sister, has always represented the America that I loved most: strong, simple and sincere. Solid.

In 1957, Nick and his sister Rosa came to Italy, for the wedding of Aunt Maria, my grandmother's youngest sister.
My uncle, who was called just like Nick, Nicolino Perrone, went to pick up the train there. They didn't know each other. My uncle only said: «You, Nicola Perrone?»
«Yes!» - " replied the other excitedly.
«Me too, let's hug!».
When I went to America in 1977, I had leg surgery and was taught to walk, Uncle Nick and Aunt Rosa were very close to me and my family. They came from Buffalo to New York and even lent me a thousand dollars to pay for the doctor, while my father was in Italy working and my mother didn't know what to do.
I have always loved Uncle Nick, he was the one who taught me my first words in English which I have never forgotten.
When he died, Aunt Rose came to Italy. He had a box for me. «It's a gift, he said, carefully taking out a beautiful string watch, it was an Omega from 1944 - for Nick it was a token of love, it was given to him by the only woman he ever truly loved. After the war he issued a recall deed for her. But she didn't want to come from Belgium. He never remarried. He always wore that watch on his wrist.
I think, said Aunt Rose, that Nick would have wanted you to keep him.'
Now that watch is in my drawer, a token of great affection.
This was Uncle Nick.

American PassageThe History of Ellis Island Ellis Island may not appear large on a map, but it is an unparalleled destination in United States history. After welcoming more than 12 million immigrants to our shores, Ellis Island is now a poetic symbol of the American Dream. Explore the History

«La prima stesura di un romanzo è... merda» (Ernest Hemingway) Mai verità fu più reale. Ma gli scriventi faticano a rend...
05/09/2023

«La prima stesura di un romanzo è... merda» (Ernest Hemingway) Mai verità fu più reale. Ma gli scriventi faticano a rendersene conto. Per questo per diventare uno scrittore appena passabile c'è sempre bisogno di un ottimo editor.

15/08/2023
15/08/2023

Gli Angeli rompono i co****ni.
Diffidate di chi vi adula e vi asseconda. Prestate invece ascolto

La Puglia scrigno dell'UNESCO, sulla via della seta
08/05/2023

La Puglia scrigno dell'UNESCO, sulla via della seta

Il fotografo pugliese Carlos Solito, attingendo anche alla sua poliedrica attività di scrittore regista e giornalista, autore di romanzi e documentari, ha disceso l'Italia in lungo e in largo

13/04/2023

Non sono un passatista, ma mi mancano molto Umberto Eco e Pasolini.

04/02/2023

Buongiorno, il web sta veramente rivoluzionando tutto in una sorta di evoluzione regressiva. Se non stiamo attenti ci toglie la capacità di leggere, la concentrazione si riduce a pochi minuti. Un algoritmo invisibile ci dice quanto e come dobbiamo pensare.
La nostra professione, ammesso che ne esista ancora una, è di molto precarizzata e ridimensionata; e comunque va ripensata. Vi sembra normale che un comunicato stampa ci arrivi magari ampiamente ricucinato su Facebook, alle 12, 30 di notte, rinfocolato con tanto di cuoricini rossi? Poi ci lamentiamo che Zelenskj vada in televisione a Sanremo, osannato dai principali telegiornali. E noi rimaniamo ignoranti sul resto del mondo. Non me la sento di dire: va così. Finché potrò farò di tutto per cambiare le cose, almeno per essere a posto con la mia coscienza e camminare a testa alta.

Ecco la storia che mi piace.
03/02/2023

Ecco la storia che mi piace.

Una delle donne più belle al mondo ė sicuramente la donna grazie alla quale abbiamo il Wi-Fi.
Si chiamava Hedi, Hedi Lamarr. Era una ebrea viennese con una passione per la tecnologia e una vocazione per il teatro ed il cinema. A Hollywood, e prima in Germania dove aveva iniziato la sua carriera fuggendo poi per evitare i Nazisti, l’avevano definita la donna più bella del mondo e in effetti le sue foto e i suoi film confermano che fosse di una bellezza straordinaria.
Quello che pochi però sospettavano ad Hollywood è che quella bruna che recitava al fianco di Spencer Tracy o Clark Gable fosse anche uno straordinario ingegnere delle comunicazioni, in grado di inventare e brevettare un sistema di teleguida per i missili. Il governo americano durante la seconda guerra mondiale snobbò l’invenzione, salvo poi ripescarla ai tempi della crisi di Cuba. L’invenzione di Hedi Lamarr è diventata poi fondamentale per sviluppare la tecnologia Wi-Fi. Insomma se oggi possiamo collegarci senza fili con cellulari, PC e tablet alle reti, lo dobbiamo a lei, la donna più bella del mondo!🌹

Curiosita' 2

Il mio personale modo di fare Memoria. Oggi sulla Gazzetta del Mezzogiorno, con richiamo in prima.
27/01/2023

Il mio personale modo di fare Memoria. Oggi sulla Gazzetta del Mezzogiorno, con richiamo in prima.

La Shoah di Teddy, disabile come meOgni volta che arriva il 27 gennaio, sento un grande vuoto, un buco allo stomaco. Ho ...
25/01/2023

La Shoah di Teddy, disabile come me

Ogni volta che arriva il 27 gennaio, sento un grande vuoto, un buco allo stomaco. Ho paura di quando morirà l'ultimo testimone della Shoah.
Perché la memoria non diventi un rito stanco, dobbiamo dargli nomi e volti. Ho conosciuto molti deportati, come Elisa Springer, tra gli ulivi di Manduria, ma oggi voglio parlarvi di Teddy Halpern, discriminato due volte, perché ebreo; perché disabile, come me.
Teddy Halpern era nato con un grave problema di deambulazione, con due moncherini al posto delle mani e una testa pelata come una palla da biliardo.
Ebreo austriaco, di una famiglia della borghesia di Vienna, dopo un'infanzia dorata, a 8 anni si scontrò con l'inferno dell'occupazione nazista dell'Austria, delle p***ecuzioni antiebraiche e dell'olocausto.
I suoi genitori ripararono negli Stati Uniti, ma lui era disabile e gli USA gli rifiutarono il visto di ingresso perché ritenevano che potesse essere un peso per la società americana. Fuggì quindi in Belgio con la nonna. Quando i tedeschi arrivarono anche lì, cercó di riparare in Francia, ma durante un bombardamento aereo p***e la mano della nonna e si ritrovò da solo. Arrivato rocambolescamente a Parigi, fu soccorso da un'ambulanza, ritenuto un bambino disadattato venne rinchiuso in un manicomio. Grazie ai buoni uffici di un infermiere, fu poi mandato in un orfanotrofio cattolico. Qui imparò il francese, riuscì a non patire la fame e a sfuggire alle p***ecuzioni naziste. Quando i superiori dell'Istituto cercarono di farlo convertire al cristianesimo, non volendo soggiacere a questa imposizione, una notte del 1943, a soli 13 anni, fuggì dall'orfanotrofio con un gruppo di ragazzi e si unì ad una banda partigiana dell'esercito clandestino di Charles de Gaulle, che combatteva i tedeschi con sabotaggi nelle città.
«Che ce ne facciamo di te? – si chiesero i Partigiani – Non puoi certo impegnare un'arma, conciato così dove vuoi andare?».
Ma Teddy aveva sempre fatto della sua debolezza una forza e capì che poteva dare “diversamente” un contributo alla causa.
Chiese a un calzolaio, anch'egli nella banda partigiana, di praticare un foro nelle sue scarpe ortopediche per creare un vano segreto. Così il piccolo ebreo disabile divenne uno dei più importanti portaordini della Resistenza francese.
Nessuno badava a lui, e divenne il tramite tra i partigiani sparsi dal nord della Francia fino a Parigi, le sue missioni si susseguirono durante tutto il corso della guerra fino a quando gli americani sbarcarono in Normandia.
Alla fine delle ostilità Teddy fu ricoverato in un campo profughi ebrei ortodossi per poi poter raggiungere la sua famiglia negli Stati Uniti, ricongiungendosi con la nonna e con i genitori che erano scampati alla Shoah.
Ho incontrato personalmente Teddy, un anno prima che morisse nel 2015, non avevo mai parlato diffusamente della nostra amicizia nata attorno ad un tavolo del ristorante della Shoah Foundation The New Jersey, sboccancellando un gustosissimo panino kosher e parlando di comuni progetti futuri, che non si sono potuti realizzare perché lui se n'è andato troppo presto. Teddy era l'ultimo testimone di un olocausto dimenticato, quello dei disabili, di cui anch'io avrei potuto essere vittima

Guardato tutto d'un fiato la quarta stagione della serie israeliana Fauda è molto avvincente, ma anche frutta e cruda co...
23/01/2023

Guardato tutto d'un fiato la quarta stagione della serie israeliana Fauda è molto avvincente, ma anche frutta e cruda come una guerra ininterrotta che ti entra nelle ossa, fotografa perfettamente il sentire degli israeliani in questo momento.

21/01/2023

Quando i ricordi di dicono, che il tempo è passato; ma non l'hai sprecato.

20/01/2023

Devozione, Fede e senso civico nel nome di San Sebastiano.

Buongiorno, domani 20 gennaio 2023, arriva su Netflix Italia la quarta stagione della serie israeliana Fauda, l'agente s...
19/01/2023

Buongiorno, domani 20 gennaio 2023, arriva su Netflix Italia la quarta stagione della serie israeliana Fauda, l'agente speciale Doron Cabilo, sarà impegnato in una missione all'estero.

La copertina del mio prossimo romanzo, tra qualche settimana nelle librerie e su Amazon.Un omaggio alle mie tre patrie: ...
17/01/2023

La copertina del mio prossimo romanzo, tra qualche settimana nelle librerie e su Amazon.
Un omaggio alle mie tre patrie: l'Italia dove sono nato, l'America che mi ha insegnato a camminare con le mie gambe e Israele che mi ha insegnato ad amare.

Le dittature si notano dalle piccole cose che stridono in una apparente normalità, che si allarga sempre più, come lo zo...
15/01/2023

Le dittature si notano dalle piccole cose che stridono in una apparente normalità, che si allarga sempre più, come lo zoom sull'obiettivo di un regista, fino a renderle sempre più grandi e visibili.
Su indicazione di Roberto Saviano, su 7 del Corriere della Sera, di questa settimana, ho guardato il film "Taxi Tehran", vincitore dell'Orso d'oro al Festival di Berlino. Merita un'ora del vostro tempo. Ha una fine inaspettata, che premia l'intelligenza, di fronte alla stupidità di tutti i regimi totalitari. È molto divertente.

La collaborazione con la Gazzetta del Mezzogiorno ridiventa quasi quotidiana.
03/01/2023

La collaborazione con la Gazzetta del Mezzogiorno ridiventa quasi quotidiana.

Bisogna accostarsi alla cronaca, sempre con una certa delicatezza.
03/01/2023

Bisogna accostarsi alla cronaca, sempre con una certa delicatezza.

Sul posto, dopo la segnalazione dei vicini, sono intervenuti gli agenti di polizia locale che hanno allertato i vigili del fuoco per accedere in casa

Questa è una tele scrivente, adesso sembra Un residuato bellico, ma senza di lei i grandi inviati non avrebbero potuto r...
29/12/2022

Questa è una tele scrivente, adesso sembra Un residuato bellico, ma senza di lei i grandi inviati non avrebbero potuto raccontare le guerre del '900.

28/12/2022

Pubblichiamola tutti. Si merita il mondo schierato con lei🤍🤟🏻✨ “Sarasadat Khademalsharieh , 25 anni iraniana, campionessa di scacchi.

Il nome è complicato anche solo da leggere. Il suo gesto è di una semplicità e di una forza assolute.

Sara ha partecipato ai Campionati del Mondo di scacchi ad Almaty (Kazakistan) sfidando apertamente il regime senza indossare il velo e gareggiando a volto scoperto, con un sorriso beffardo in cui c’è tutta la carica di ribellione non violenta delle donne iraniane.

In questo sorriso ribelle, rimbalzato su Twitter e diventato in breve icona mondiale di coraggio e resistenza, è riassunta la straordinaria lotta delle donne iraniane, il volto della rivoluzione.

Mi inchino.”

Sulla Gazzetta del Mezzogiorno di oggi.
04/12/2022

Sulla Gazzetta del Mezzogiorno di oggi.

Un nuovo inizio.
04/12/2022

Un nuovo inizio.

Verrebbe da pensare che le giornate mondiali, in specie quella sulla disabilità non servano a nulla, ma non è così, servono a farci riflettere, anche a noi disabili, ben al di là e oltre l'emozione di un momento

Un esempio emblematico
12/11/2022

Un esempio emblematico

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