Credere, è importante, fondamentale
e allo stesso tempo non necessario.
Lo senti nella salita, quando il respiro si accorcia
e la montagna ti pesa addosso, quando i piedi vanno
a tempo con altri sconosciuti e le schiene sudano insieme con le facce pizzicate dal gelo di febbraio.
È fatica, devozione, acqua, aria, terra,
resistenza, tempo, carne e fuoco.
Montevergine si alza sopra tutti noi
senza guardarci dall'alto in basso,
lassù cadono maschere,
differenze e protezioni.
La folla si stringe, canta,
no,
urla.
Sacro, tradizione, diritti, profanità si incastrano
senza vergogna, e il rito prende forma viva in una celebrazione che è unione, lotta, promessa, ritmo.
Anarchici, atei, agnostici, credenti, artigiani, pellegrini, persone: la Candelora non è solo miracolo,
è potenza,
è la storia di tante storie, anche di chi si è visto negare
un posto nel mondo e se lo riprende ballando,
è la fiamma di chi non chiede permesso per esistere,
è il cammino di chi si porta dentro tutto il peso
delle proprie solitudini, delle proprie unicità,
dei propri paradossi e arriva in cima da persona intera,
libera e fiera di sé.
Davanti alla Madonna Nera non c'è peccato e differenza, solo orgoglio e un unico cuore aperto.
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Montaggi, smontaggi, trasporti, chiacchierate diurne, notturne, pensate, istintive, equilibri, posizioni,
schiene doloranti, amici nuovi, vecchi amici.
Questa è la Candelora,
reale, popolare, da sballo,
come il morso della ragno nel Salento,
non è un momento normale,
un momento democristiano,
un momento per fare denari,
è un momento pulito nel suo essere
completamente folle