17/05/2022
- Giocheremo alla scuola.
Io ero la maestra e tu la scolara. Questo era il quaderno.
Tu sbagliavi tutto il dettato e io ti mettevo quattro. -
- Cosa c’entra il numero quattro? -
- C’entra, sì. E’ così che fa la maestra a scuola. A chi fa bene, dieci; a chi fa male, quattro. -
- Perché? -
- Perché così impara. -
- Mi fai ridere. -
- Io?! -
- Naturale - dice la bambola. - Rifletti. (...)
Ci sai andare in bicicletta? -
- Certo! -
- E quando stavi imparando e cascavi, ti davano un quattro, oppure ti mettevano un cerotto? -
Enrica tace, perplessa. La bambola incalza:
- Pensaci un momento, su.
Quando imparavi a camminare e facevi un capitombolo, forse la mamma ti scriveva un quattro sul sedere? -
- No! -
- Ma a camminare hai imparato lo stesso.
E hai imparato a parlare, a cantare, a mangiare da sola, ad allacciarti i bottoni e le scarpe, a lavarti i denti e le orecchie, ad aprire e chiudere le porte, a usare il telefono, il giradischi e la televisione, a salire e scendere le scale, a lanciare la palla contro il muro e a riprenderla, a distinguere uno zio da un cugino, un cane da un gatto, un frigorifero da un portacenere, il parmigiano dal gorgonzola, la verità dalle bugie, l’acqua dal fuoco.
Senza voti, né belli né brutti, giusto? -
Gianni Rodari, ‘La bambola a transistor’ in ‘Novelle fatte a macchina’. Einaudi.