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Floridea stresa un amante della Natura !!!

In molti giardini si trova un arbusto antico, di facile coltivazione, che dà un po’ di colore all’inverno: il Falso Cali...
06/01/2025

In molti giardini si trova un arbusto antico, di facile coltivazione, che dà un po’ di colore all’inverno: il Falso Calicanto (Chimonanthus praecox).
Molti confondono questo arbusto, a fioritura invernale, con il vero Calicanto (Calycanthus floridus), che è invece a fioritura estiva.
Il Chimonanthus praecox è un arbusto che può arrivare all’altezza di oltre due metri.
Produce un arbusto disordinato, con vari fusti eretti, ben ramificati, che danno origine ad una vegetazione densa ed intricata; le foglie appaiono in primavera, dopo o durante la fioritura, e sono allungate, molto simili a quelle di un pesco o di un salice, lanceolate, di colore verde medio. La caratteristica peculiare del calicanto sono sicuramente i fiori, che sbocciano in pieno inverno, in febbraio o marzo, indipendentemente dalle condizioni climatiche, e ben prima che la pianta abbia cominciato a produrre le foglie; il risultato è un arbusto all’apparenza secco, completamente ricoperto da fiorellini molto profumati. I fiori sbocciano dal legno vecchio, senza picciolo; sono dotati di petali allungati, cerosi, di colore bianco o giallo.
Arbusto decorativo, molto rustico e resistente, che sopravvive senza problemi agli inverni del nord Italia, senza temere il gelo e la neve; produce fiorellini gialli o bianchi, molto profumati. In primavera inoltrata si riempie di foglie, anche se senza i fiori diviene un arbusto abbastanza anonimo, senza particolari decorativi; il portamento eretto e le ramificazioni intrecciate lo rendono adatto anche per creare siepi, nonostante perda il fogliame nei mesi invernali. Pianta di facile coltivazione, una volta assestatasi in giardino tende ad accontentarsi dell’acqua delle intemperie e a non necessitare di particolari cure.

La bellezza del bucaneve simbolo di vita e di speranzaIl bucaneve, galathus nivalis, appartiene alla famiglia delle amar...
01/01/2025

La bellezza del bucaneve simbolo di vita e di speranza

Il bucaneve, galathus nivalis, appartiene alla famiglia delle amaryllidaceae. Il nome galathus deriva da due parole greche gala, che significa latte, e anthos, che significa fiore, nel complesso quindi la parola galathus significa fiore bianco come il latte. Il nome nivalis invece è riferito alla fioritura della pianta che avviene dopo l’inverno, in mezzo alla neve, per questo motivo il bucaneve è anche chiamato comunemente stella del mattino. E’ una pianta perenne che cresce spontanea nei sottoboschi del territorio italiano. In altri luoghi fuori dall’Italia si può trovare una specie coltivata i cui fiori possono essere di diverse dimensioni ed il cui periodo di fioritura può anche essere primaverile.
In generale i fiori del bucaneve sono di colore bianco candido ma ne esistono alcune specie che hanno un’inflorescenza di color giallino o verdastra, di dimensione un po’ più sottile e larga rispetto al bucaneve classico. Il bucaneve “classico” lo si può trovare con molta facilità nelle regioni dell’Italia settentrionale, essendo un fiore tipico di quelle zone, ma può essere trovato anche nel centro e nel sud Italia ma in questo caso i suoi fiori saranno di dimensioni leggermente maggiori. Sia i bucaneve settentrionali che quelli meridionali bocciano solitamente verso le fine di gennaio e molte volte i fiori si sviluppano ancora prima delle foglie.
In Inghilterra il bucaneve fu introdotto nel territorio dalla regina Elisabetta che lo fece prelevare dalle zone selvatiche dell’Italia alpina.
Esistono numerose tradizioni e feste religiose legate al bucaneve, ad esempio nella festa della Candelora, che si tiene il 2 febbraio giorno della purificazione della Madonna, il bucaneve è il fiore simbolo della purezza della Madonna, e prima ancora della festa della Candelora veniva festeggiata dai romani la Dea Februa, ovvero Giunone, ed anche in quel caso i fiori utilizzati durante le celebrazioni erano i bucaneve.
Esiste poi un’antica leggenda che narra che quando Adamo ed Eva furono scacciati dal paradiso terrestre si trovarono in una terra buia e gelida. In quel luogo desolato Eva fu colta da un momento di sconforto e rimpianto, quindi un angelo, mandato dal signore che ebbe compassione di lei, prese dei fiocchi di neve e glieli soffiò indosso. Quando i candidi fiocchi di neve giunsero per terra si trasformarono in boccioli facendo così apparire dei bucaneve. Grazie a quel miracolo Eva riacquistò la speranza e riprese il cammino.
Infine, secondo le tradizioni popolari si dice che raccogliere un bucaneve nella prima notte di luna piena dopo il 31 gennaio porti felicità per tutto il resto dell’anno.
Nel linguaggio dei fiori e delle piante i bucaneve sono il simbolo della vita e della speranza, è quindi il fiore ideale per festeggiare i cambiamenti, le nascite e i nuovi propositi.

I fiori dell'inverno e di buon auspicio: il Calicanto.In questo periodo in cui molti arbusti dormono, inizia a fiorire i...
31/12/2024

I fiori dell'inverno e di buon auspicio: il Calicanto.
In questo periodo in cui molti arbusti dormono, inizia a fiorire il profumatissimo Calicanto: i fioristi ne vendono rami già fioriti da regalare e da regalarsi.
Questa sua fioritura inattesa e portentosa è legata alla poetica leggenda del pettirosso che, scacciato da altri alberi, trovò rifugio solo fra i rami del calicanto: Dio volle ricompensare questa sua gentilezza facendo cadere sui rami di questa pianta una pioggia di stelle splendenti e intensamente profumate.
Ecco perché l’omaggio di un rametto di calicanto è espressione di affettuosa protezione nei confronti di chi lo riceve.

IL BOTTINOCamminare in radure al limitare dei boschi in questo periodo significa trovare un tesoro prezioso, un arbusto ...
27/12/2024

IL BOTTINO

Camminare in radure al limitare dei boschi in questo periodo significa trovare un tesoro prezioso, un arbusto il cui frutto è una drupa blu dello stesso colore delle notti gelate e rischiarate dalla luna piena, il cui sapore è tagliente come il gelo che sale dal velo di ghiaccio che ricopre laghi e canali.

Il prugnolo selvatico, un bottino da condividere con uccelli, caprioli e cervi. Lui sembra andare contro corrente, la sua polpa attende le prime gelate per maturare e dive**re così commestibile. Il regalo di Madre Natura che sempre vede e provvede e generosa ci offre un concentrato di vitamine che sarà il nostro scudo protettivo nei lunghi mesi invernali ❄️

Helleborus viridis( prime 2foto) e Helleborus foetidus ( seconde 2 foto). L'elleboro verde e il suo fratello fetido sono...
27/12/2024

Helleborus viridis( prime 2foto) e Helleborus foetidus ( seconde 2 foto).
L'elleboro verde e il suo fratello fetido sono piante velenose. Contengono dei glucosidi con effetti cardiaci che in piccole dosi rallentano il ritmo per poi aumentarlo fino al parossismo col crescere della dose. Anticamente un Helleboro (H.orienntalus) era citato come rimedio alla follia. Melampo curo la pazzia delle figlie di Preto gettando foglie di elleboro nella fonte dalla quale si abbeveravano. Questa credenza generò anche un detto proverbiale. Si diceva , "ha bisogno dell'elleboro" per indicare qualcuno che tenesse comportamenti inconsueti, illogici o avesse eccessi nervosi. Effettivamente gli ellebori contengono elleborina, che grazie alle sue proprietà narcotiche può essere usata, sotto stretto controllo medico per combattere questo tipo di disturbi.
L'elleboro é una delle piante della farmacologia rurale; un tempo, quando si era più esperti, si usavano anche i veleni che la natura ci offriva. I pastori e i bovari sapevano ad esempio che l'elleboro maturava gli ascessi provocando un iperreazione del sistema immunitario. Un tempo si usava anche come vermifugo e purgativo ma la sua intensa attività farmacologica provocava spesso vomito, sonnolenza, collasso e perfino la morte. Anche gli antichi conoscevano la sua tossicità e Pausania, nel X libro della "Guida alla Grecia" ci racconta di come Solone salvo' Atene dall'assedio dei Cirreni avvelenando il fiume in cui questi si approvvigionavano.
Fiorendo in inverno é simbolo di resistenza alle avversità e prosperità ed in questo senso in Toscana si crede porti vaticini per il successivo raccolto in base al numero di ovari che porta a maturazione. In inghilterra si mettevano in un vaso 12 boccioli, uno per ogni mese dell'anno a ve**re; quelli che si fossero schiusi avrebbero svelato il buon andamento climatico del mese a cui erano associati.
Durante il medioevo era considerato ingrediente delle pozioni stregonesche e si credeva addirittura che la polvere della radice potesse rendere invisibili.
In Germania l'elleboro é chiamato Nieswurz, radice nera da starnuto, infatti la povere di radice ha questa proprietà causata dalla presenza di protoanemonina e veniva sfruttata perché si credeva che con lo starnuto si espellessero le influenze maligne. Veniva impiegato anche nella preparazione di tabacco da fiuto con effetti anche gravi.
Oggi l'uso dell'elleboro é scomparso proprio a causa della sua pericolosità ed alla scoperta di rimedi più efficaci e sicuri e la pianta è utilizzata esclusivamente a scopo ornamentale. La specie H. niger é detta anche stella d'inverno o rosa di natale per via della sua fioritura invernale che ha causato l'impoverimento delle popolazioni spontanee tanto da farla diventare specie protetta in molte regioni. Il popolo aveva infatti l'abitudine di farne mazzi da portare ai defunti nei camposanti la notte di Natale.

Dal web

Il vischio della tradizione.La pianta tradizionale del Solstizio d'Inverno è il vischio, la cui antica usanza di appende...
21/12/2024

Il vischio della tradizione.
La pianta tradizionale del Solstizio d'Inverno è il vischio, la cui antica usanza di appenderlo come pianta sacra trova la sua origine nella storia di celti, druidi e vichinghi, i primi popoli ad aver considerato sacro questo sempreverde. Prima di diventare un simbolo del natale, la pianta era venerata come simbolo di fertilità, poiché fioriva anche in inverno.
I Celti lo ritenevano una pianta degli dei, magica, perchè cresce, nonostante non abbia radici, sui rami di altre piante...Altre tradizioni riconducono il vischio alla mitologia greca, e sempre a essa l'usanza di baciarsi sotto il vischio.
Gli alberi e arbusti sui quali nasce e cresce con successo il vischio sono il melo, il sorbo, il nespolo, l’acero...ma necessita di un lungo periodo di crescita prima di poter essere un bell’esemplare con tante bacche, foglie verdi e piccole, pronto per le nostre feste di fine anno.

*PIANTE INVERNALI*    per rimedi e incantesimi:IL VISCHIOIn questo periodo in cui le piante da fiore appassiscono e molt...
21/12/2024

*PIANTE INVERNALI*
per rimedi e incantesimi:IL VISCHIO
In questo periodo in cui le piante da fiore appassiscono e molti alberi sono spogli, le piante che portano bacche o mantengono le foglie sono particolarmente apprezzate dalla strega.
Alcune di queste sono dotate di potenza e magia e possono essere utilizzate in rimedi, tisane ed incantesimi.
Le bacche bianche e le foglie sempreverdi del vischio spiccano nel cuore dell'inverno quando gli alberi sono spogli.
Il modo in cui cresce il Vischio è particolarmente intrigante:
i suoi semi, lasciati cadere dagli uccelli, germinano e crescono sui rami degli alberi.
Questa apparente capacità di crescere dal nulla è una cosa meravigliosa e misteriosa, soprattutto se l'albero è una quercia sacra o una mela.
Un tempo si credeva che il vischio assorbisse le proprietà magiche dell'albero che lo ospitava e che dovesse essere tagliato al solstizio d'inverno con un coltello d'argento.

fonte web

I FIORI DI NATALEL’ELLEBOROL’elleboro è una pianta di origine Asiatica. Il suo nome deriva dal termine greco “elleboros”...
20/12/2024

I FIORI DI NATALE

L’ELLEBORO

L’elleboro è una pianta di origine Asiatica. Il suo nome deriva dal termine greco “elleboros”, termine formato da due parole che tradotte significano “far morire” e “nutrimento”. Questo nome deriva dalle sostanze velenose contenute nella pianta. Essa è composta da piccole foglie e da fiori che iniziano a sbocciare verso dicembre e che durano fino alla fine di marzo. Il loro colore, secondo la varietà, può essere bianco, rosa, rosso acceso. L’elleboro era conosciuto e utilizzato dagli antichi per le sue proprietà medicinali. Nonostante conoscessero la pericolosità della pianta, credevano che il decotto di radici fosse un buon rimedio per la pazzia. Una leggenda narra che con la medicina ricavata dall’elleboro furono guarite dalla pazzia le figlie di Preto, re di Argo, che credevano di essere state tramutate in vacche. Nei nostri tempi, il suo estratto è stato vietato nelle farmacie a causa della sua tossicità. In particolare le radici essiccate e polverizzate hanno potente azione irritante: e tale azione irritante, narcotica e anestetica delle radici è dovuta alla elleborina, un glucoside, il cui effetto può essere talmente forte che, addirittura, in passato si credeva che l’uso rendesse invisibili le persone. Nella tradizione popolare contadina, poi, l’elleboro presente nei campi era un buon auspicio per i contadini, che credevano così di avere un buon raccolto. In Italia, l’elleboro viene chiamato Rosa di Natale e, secondo la tradizione cristiana, si narra che le piante di elleboro spuntarono nei pressi della stalla dove nacque Gesù. In India, viene fatta bruciare accanto al letto delle partorienti, affinché lo spirito degli dei renda il parto più veloce. Essendo esso un fiore invernale è considerato il fiore natalizio per eccellenza dagli inglesi, dai francesi e dai tedeschi. I fiori dell’elleboro sono formati da cinque petali che compongono un calice e la particolarità di questa pianta è il suo colore bianco candido, che la rende straordinariamente bella. L’elleboro è chiamato comunemente Rosa di Natale: secondo una leggenda questo fiore sarebbe stato portato in omaggio a Gesù Bambino da una povera pastorella, ma tanto povera che non aveva alcun dono. Così, un angelo che si trovava di passaggio, avvicinò la triste bambina e tolse un po’ di neve dalla strada. Immediatamente comparvero delle particolarissime rose che la bimba raccolse e donò al Bambino Gesù. Per questa ragione, l’elleboro è una pianta di Natale molto ricercata e regalata, anche se non è molto conosciuta.
Nel linguaggio dei fiori, l’elleboro rappresenta il fiore sacro a Dio, ma nel corso dei secoli, visto l’effetto che la pianta essiccata procurava sulle persone, ha assunto anche il significato di liberazione: liberazione dalle pene, liberazione da un dolore, da uno stato di angoscia e, dunque rinascita. È buon segno regalarlo a Natale, a tutti coloro che si preparano per il nuovo anno, per ricominciare con rinnovata energia e spirito positivo.

La leggenda del calicantoIn un freddo giorno d’inverno, un piccolo pettirosso, stanco e infreddolito, vagava cercando ri...
18/12/2024

La leggenda del calicanto
In un freddo giorno d’inverno, un piccolo pettirosso, stanco e infreddolito, vagava cercando riparo in un ramo per potersi riposare e proteggere dal freddo. Ma tutti gli alberi che incontrava durante il volo, si rifiutavano di dargli ospitalità. Il pettirosso stremato giunse nei pressi di un calicanto il quale, alla vista del piccolo uccellino decise di dargli riparo e con le sue ultime foglie ingiallite provò a scaldarlo. Il Signore, che aveva visto il bel gesto, volle ricompensare la pianta di calicanto, facendo cadere sull’albero una pioggia di stelle brillanti e profumate. Fu così che da quel momento il calicanto fiorì in inverno.

Biodiversità in giardino
08/12/2024

Biodiversità in giardino

FRUTTO ITALIANO POCO CONOSCIUTO😋 Cos'è la giuggiola? La giuggiola è il frutto prodotto dalla pianta del giuggiolo, il cu...
07/12/2024

FRUTTO ITALIANO POCO CONOSCIUTO😋
Cos'è la giuggiola? La giuggiola è il frutto prodotto dalla pianta del giuggiolo, il cui nome scientifico è Ziziphus jujuba. Si tratta di un piccolo arbusto di provenienza asiatica, che nel corso dei secoli si è diffuso nei paesi mediterranei e in Italia. Coltivato per i suoi prelibati frutti, ma adatto ad essere coltivato anche come pianta ornamentale, il giuggiolo produce delle drupe ovoidali, con buccia sottile e liscia di color rosso scuro, la cui polpa ha una consistenza compatta e farinosa, dal sapore dolce leggermente acidulo, che ricorda quello della mela.
Le giuggiole si possono consumare fresche subito dopo la raccolta oppure si possono conservare per lungo tempo essiccandole o mettendole sotto spirito; si prestano inoltre per preparare confetture e sciroppi, o come ingrediente per farcire dolci secchi e biscotti. Il frutto del giuggiolo è inoltre l’ingrediente principale della ricetta di un particolare liquore, conosciuto come “brodo di giuggiole”.
La fama e l’apprezzamento di questa bevanda si diffuse e perdurò nel tempo, tanto che il ‘brodo di giuggiole’ diede origine ad un’espressione metaforica giunta fino a noi. Il detto popolare “andare in brodo di giuggiole” venne pubblicato per la prima volta nel 1612, nel primo vocabolario di lingua italiana scritto dall’Accademia della Crusca, famosa istituzione culturale fondata a Firenze alla fine del Cinquecento. L’intento dell’opera era quello di affermare la lingua fiorentina come lingua superiore a tutti i dialetti presenti nella pen*sola italiana, codificandone i vocaboli e presentandola come modello per definire un linguaggio comune. Il dizionario fin dalla sua prima edizione, riportava l’espressione proverbiale “andare in brodo di giuggiole”, indicando come significato una situazione estremamente piacevole, in cui è possibile “godere di molto di chichessia”.

LA LEGGENDA DEL PUNGITOPOEra Dicembre, la gente se ne stava in casa al calduccio perché il freddo era intenso e le strad...
06/12/2024

LA LEGGENDA DEL PUNGITOPO

Era Dicembre, la gente se ne stava in casa al calduccio perché il freddo era intenso e le strade erano tutte coperte di neve e di ghiaccio.

Un topolino in mezzo alla campagna tremava e batteva i suoi dentini.
Sorpreso dalla tormenta, non era riuscito a raggiungere in tempo il suo rifugio.
Si sentiva perso e non sapeva come fare per non morire assiderato.
All’improvviso, tra l’ammasso di neve, notò in lontananza un arbusto verde.
Il topino si sentì in salvo e si mise a correre in quella direzione.

Prima di rifugiarsi tra i rami di quella pianta la salutò e poi le chiese ospitalità.
Il cespuglio gli disse di non aver nulla in contrario ad accoglierlo, ma era giusto che sapesse subito che le sue foglie erano spinose per proteggersi dagli attacchi dei ruminanti.

"Se vuoi accomodati pure tra i miei rami!
Io ho fatto il mio dovere ad avvisarti del pericolo a cui stai andando incontro", sottolineò la pianta.

Il topolino ci pensò un po’, ma, non avendo alternative per sopravvivere alla tormenta, si infilò con cautela tra i rami dell’arbusto,
pensando tra sé:" Meglio qualche puntura che morire stecchito tra la neve!"

Ad un tratto si alzò un vento gelido impetuoso ed il topino per non essere trasportato via nel suo vortice si aggrappò con forza con le sue zampette ad una foglia dell’arbusto dimenticando le spine.

"Ahi! Ahi! Che dolore!", urlò il povero topino.

Le spine lo pungevano e piccole gocce del suo sangue si posarono tra i rami della pianta.

La notte freddissima gelò quelle gocce e le trasformò in rosse palline di ghiaccio.
Al chiarore della luna esse brillavano come rubini.
L’arbusto con quelle palline rosse era veramente bello ed elegante e ringraziò il topolino di avergli fatto quel dono bellissimo.

La pianta, però, aveva paura di perdere quelle palline una volta che l’aria si fosse riscaldata ed il gelo scomparso, così si rivolse alla regina delle piante e le chiese di lasciargliele per sempre.

Il suo desiderio fu esaudito.
La regina delle piante la toccò con la sua bacchetta magica, dicendo solennemente:
"Io voglio premiarti perché sei stata generosa, buona e sincera con il topino e meriti un bel regalo per il Natale ormai vicino.
D’ora in poi avrai anche tu, come tutti gli alberi, fiori e frutti e non solo foglie spinose.
Per ricordare a tutti che i tuoi frutti rossi sono nati dal sangue del topolino sarai chiamata col nome di Pungitopo".

La pianta commossa, ringraziò ripetutamente la regina buona mentre scompariva dalla sua vista.

Il pungitopo pensò tra sé che è sempre meglio, a questo mondo, esserr buoni, perché dal bene nasce sempre altro bene.

La piantina, ammirandosi, rimase stupita per la bellezza acquistata con quelle bacche rosse che l’adornavano.

Da allora, ogni Natale, la sua felicità è grande e completa, quando le persone con i suoi rametti, abbelliscono le loro case.
Da quel giorno, infatti, diventò una pianta ornamentale natalizia che ognuno vuole avere nella propria casa perché porta fortuna ed è beneaugurante.

Il cotogno (Cydonia oblonga) è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Rosacee e al genere CydoniaSi tratta...
02/12/2024

Il cotogno (Cydonia oblonga) è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Rosacee e al genere Cydonia
Si tratta di un’essenza importata anticamente dall’Asia Minore che è arrivata in Europa come pianta ornamentale per adornare giardini e frutteti grazie alle splendide fioriture candide che è in grado di regalare.
Anche i frutti sono stati sempre oggetto di interesse, sia per le loro proprietà nutrizionali che per il loro curioso aspetto bitorzoluto e oblungo. Proprio in base alla forma del frutto, l’albero delle mele cotogne è chiamato erroneamente anche “pero cotogno“.
La mela cotogna è senza dubbio uno dei frutti più popolari nella mitologia greca. La sua storia è legata a doppio filo ad una leggenda davvero affascinante che affonda le radici nell’antica Creta, precisamente nella città di Cydon.
A quel tempo, gli alberi di mela cotogna erano soprannominati “pomi d’oro” e venivano offerti in dono agli Dei durante rituali e cerimonie sacre. La leggenda narra che questo frutto fu per secoli l’emblema di Venere, simbolo di buon auspicio e fecondità consumato nei banchetti matrimoniali.
Si tratta, in effetti, di frutti leggendari, purtroppo dimenticati, appartenenti ad alcune delle essenze arboree più antiche della Terra. Basti pensare che nel 2.000 a.C, i Babilonesi si dedicavano già alla coltivazione di questi frutti, mentre greci e romani consideravano quella della mela cotogna una pianta sacra.
La mela cotogna è un tipico frutto autunnale, ingiustamente dimenticato sia dalle persone che dall’industria alimentare. Trovarla sui banchi dei supermercati è una vera rarità, così come nei frutteti e nel campi.
Raggiunge la piena maturazione nei mesi di settembre e ottobre, quando la buccia diventa gialla e profumata.
La fioritura è tardiva: avviene per lo più tra aprile e maggio e sebbene sia una pianta molto rustica e resistente al freddo, la fruttificazione può essere compromessa dalle ultime gelate primaverili. I frutti che il cotogno produce, in genere, sono di dimensioni notevoli, tondeggianti oppure piriformi, a seconda della varietà.
Se tenute in lungo buio, fresco e asciutto, le mele cotogne si conservano intatte per diverse settimane.
Come molti altri frutti antichi, anche la mela cotogna è ricca di proprietà benefiche preziosissime per la salute di tutto l’organismo. La sua altissima concentrazione di pectina – una fibra alimentare solubile con proprietà addensanti, stabilizzanti e gelatinizzanti – ne fa un alleato naturale formidabile per il benessere dell’intestino.
Consumata cruda, la mela cotogna risulta un po’ difficile da assaporare e, prima ancora, da addentare. Non si può dire che questo frutto sia molto appetibile e gustoso, insomma, ma una volta colta dall’albero a maturazione ultimata, il sapore migliora molto, specie dopo qualche giorno. Chi non vuole proprio rinunciare alla possibilità di mangiarla fresca, può accompagnarla con del miele.
La mela cotogna si consuma cotta in poca acqua con l’aggiunta di un paio di cucchiaini di zucchero e un po’ di cannella. Perfetta come dessert per chiudere il pasto, oppure a colazione o a merenda.

Il Mirto è una pianta aromatica abbastanza utilizzata in Italia, soprattutto per il fatto che si tratta di uno dei comun...
28/11/2024

Il Mirto è una pianta aromatica abbastanza utilizzata in Italia, soprattutto per il fatto che si tratta di uno dei comuni arbusti della macchia mediterranea, e quindi in gran parte della pen*sola è possibile reperirlo anche allo stato selvatico. Produce un arbusto abbastanza grande, che può raggiungere i tre metri di altezza, con portamento cespuglioso, abbastanza fitto, e ramificazioni sottili; la corteccia è rossastra, e spicca tra il fogliame di colore verde scuro, di forma lanceolata e di dimensioni decisamente minute; in estate produce innumerevoli piccoli fiori bianchi, profumati, di piccole dimensioni. Tutta la pianta è molto aromatica, sia le piccole foglie, sia il legno sottile. Viene utilizzato come pianta aromatica, ma anche come pianta ornamentale, in quanto l’aspetto è molto gradevole, e la fioritura abbondante. Ai fiori seguono i frutti, delle piccole bacche di colore nero o bluastro, commestibili, utilizzate in Sardegna e in Corsica per produrre un liquore tipico, che si chiama appunto mirto.
Gli antichi Greci ritenevano che chi coltivava, chi coglieva il mirto, chi lo usava per abbellire la casa e gli abiti fosse accompagnato da energia, vigore e potenza.
Ad Atene, uomini vincenti come atleti o guerrieri vittoriosi
si cingevano il capo con una corona di mirto. Il mirto è simbolo di amore e vitalità. In passato era visto come dotato di un qualcosa di magico: si narra che chiunque lo toccasse poteva essere folgorato da una nuova e duratura passione. La mitologia rappresenta il mirto pianta cara a Venere, dea dell’amore e della bellezza, e pianta prediletta da Mirra; questa alle sue feste offriva ramoscelli di mirto alle donne maritate, perché si cingessero polsi caviglie e capo al fine di trarne desiderio e fantasia nei rapporti amorosi

KAKI Kako, loto, caco, diosporo o mela d'Oriente (proveniente dalla Cina settentrionale)  è ricco di beta carotene, vita...
25/11/2024

KAKI

Kako, loto, caco, diosporo o mela d'Oriente (proveniente dalla Cina settentrionale) è ricco di beta carotene, vitamina C , potassio e, in piena maturazione, di zuccheri.
Il kaki vanigliato campano , RESISTE grazie all'intelligenza e alla lungimiranza ( io direi anche spirito identitario e ribellione)di coltivatori che non si arrendono alle richieste del mercato che li vuole "ammezziti" e "detannizzati". (cioè musci e lassativi)....
Benvenuto cachisse o legnasànte (perché leggenda vuole che il legno della Croce di Gesù, fosse di quest'albero)...

Ricordiamo che dall'Asia , continente di provenienza, in Europa e in Italia la pianta del cachi o kaki è stata introdotta a scopo prettamente ornamentale nel XVI secolo. Ma bisogna aspettare l’inizio del Novecento per incontrare le prime coltivazioni italiane a fini edibili.

Si è diffusa principalmente in Emilia-Romagna, in Campania e in Sicilia. Come è noto sono state riconosciute in queste aree le denominazioni di tipicità PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali), per:

Loto di Romagna
Kaki vaniglia napoletano
Kaki di Misilmeri.

La pianta del cachi può vivere molto a lungo, anche diverse centinaia di anni. Inoltre, è in grado di raggiungere un’altezza imponente di oltre 15 metri, ma ha una crescita lenta.

La ricetta più semplice da realizzare è la confettura perfetta sia per le crostate che per farcire torte e biscotti. Basta cuocere la polpa di un kg di cachi con circa 200 g di zucchero e il succo di un limone. Per rendere la confettura più densa, aggiungete anche una mela a cubetti con la buccia che agirà da pectina naturale.

Morus alba. Il gelso biancoPIRAMO E TISBE erano due che si amavano ma le famiglie li volevano divisi. Vivevano vicini e ...
24/11/2024

Morus alba. Il gelso bianco
PIRAMO E TISBE erano due che si amavano ma le famiglie li volevano divisi. Vivevano vicini e potevano solo , non visti, parlare attraverso una fessura sul muro che divideva le loro proprietà. Decisi a vedersi fuggirono dandosi appuntamento sotto un vecchio gelso dai candidi frutti bianchi. Tisbe giunse prima ma si spavento' quando una belva di passaggio passò proprio da quelle parti e corse a nascondersi perdendo il velo. La bestia di passaggio inzacchero' il velo abbandonato e lo macchio' del sangue che ancora lordava le sua testa appena saziata e si allontanò. Piramo giunse di li a poco e trasse le ovvie, anche se sbagliate, conclusioni: - io sono la causa di questo, io che nemmeno ho avuto il buonsenso di arrivare per primo! -
e si pugnalo' a morte. Il fiotto del suo sangue intrise i candidi frutti e annaffio' le radici del gelso.
Quando Tisbe ritornò non riconobbe l'albero tanto mutato. Si sentì perduta e quando vide il corpo dell'amato e capì che cosa era successo; anch'ella si tolse la vita.

Il gelso della storia e il Morus nigra autoctono in medio oriente e nord africa, ma in oriente c'era il gelso bianco e i furbissimi cinesi fecero credere a tutti che la seta, di cui tutti andavano pazzi e pagavano a peso d'oro, fosse una fibra vegetale; un frutto che si raccoglieva dai gelsi; custodirono gelosamente il segreto della vera origine di questo tessuto "magico" per 3000 anni. I mercanti romani e i bizzantini affrontavano un viaggio proibitivo per ottenere la seta.
Un viaggio che poteva durare anni attraversando territori ostili e poco praticati. Solo nel 550 d.c. Giustiniano spedì 2 monaci alla ricerca del segreto della seta e questi riuscirono a portare a casa alcuni bozzoli nascosti nei loro bastoni da viaggio (che erano di ferula) e qualche seme di gelso. Nel XII secolo si cominciò a fare più seriamente e Piano piano, scoperto lo strano rapporto di simbiosi tra i gelsi ed il baco da seta, la produzione di questo materiale si diffuse in tutta Europa e con essa anche la coltivazione del gelso bianco......
Fino agli anni 50, quando l'industria della seta subì un definitivo ridimensionamento e si smise di coltivare gelsi.

Eppure il gelso bianco continua a destare interesse soprattutto per le sue potenzialità medicinali.
Ad oggi le sostanze estratte da questa pianta con riconosciuti effetti farmacologici sono più d'una e sembra possano essere impiegate anche in terapie antileucemiche.
Dalla Wikipedia- morus alba-

Malva sylvestris. La malva. Pitagora credeva nella reincarnazione e per questo non consumava la malva che rappresentava ...
24/11/2024

Malva sylvestris. La malva. Pitagora credeva nella reincarnazione e per questo non consumava la malva che rappresentava un viatico, un ponte tra terreno e celeste; era 《la prima messaggera e annunciatrice della simpatia tra le cose celesti e terrene》e per questo, al pari delle fave, impediva la liberazione dal ciclo delle rinascite.
Il popolo se ne cibava e Marziale la consigliava per i postumi di eccessive libagioni.
In epoca romana era considerata un potente afrodisiaco ma nel corso dei secoli questa fama venne meno fino al medio evo, quando le si attribuirono influssi contrari arrivando a credere che placasse le passioni umane.
Tale opinione venne condivisa nel rinascimento quando veniva prescritta come calmante ed emolliente. Nella pratica popolare é famoso il suo uso nella tisana dei quattro fiori , che in realtà sono sette (rosolaccio, malva, farfara, piede di gatto, verbasco, altea e viola mammola).
I contadini usavano le foglie per estrarre i pungiglioni di vespa e la linfa gommosa, ridotta in poltiglia, diventava una crema rinfrescante per il viso. I nonni sfregavano le foglie contro le gengive infiammate ed a ragione perché oggi ci é noto il suo alto contenuto in mucillagini che esercita una intensa azione emolliente, antiinfiammatoria degli occhi, delle mucose del cavo orale e dell'apparato gastrointestinale e respiratorio.
Nella magia popolare é poco usata ma se ne faceva un potente talismano con la radice fasciata in un panno scuro e i celti, posando i poliacheni sugli occhi dei defunti, credevano li guidassero nell'aldila.
Questi poliacheni venivano chiamati pomodorini della madonna e i bimbi ne facevano scorpacciate. È di questi pomodorini che Marziale faceva incetta la mattina dopo una sbornia, per smaltire i postumi.
Essendo pianta legata alla madre era pratica versarvi sopra l'urina delle giovani donne in modo da trarre vaticini sulla condizione di fertilità e illibatezza di quest'ultime
Il color malva é rilassante e predispone alla calma. Strutturalmente é un rosso sporcato di blu con appena un pizzico di giallo ed è il colore dell'amore materno.

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