29/10/2024
“Tenetevela, vi prego! Ha tutti i vizi e non voglio rivederla!”.
Con queste poche parole, scritte nel 1913 al Direttore del manicomio di Ville-Evrard, la signora Louise Cervaux, vedova Claudel, condannò la figlia Camille a trascorrere gli ultimi trent’anni della sua esistenza in stato di reclusione forzata, resa ancora più triste dall’oblio che, poco a poco, scese su di lei.
Dimenticata da tutti, non avrebbe mai più rivisto la mamma e la sorella, mentre soltanto il fratello Paul, nell’arco di tre decadi circa, le avrebbe fatto visita una decina di volte, senza però trovare il tempo o la voglia nemmeno di recarsi al suo funerale.
Camille morì il 19 ottobre del 1943 nella più totale solitudine, di fame e stenti, perché nella Francia di quei tempi, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, se il cibo scarseggiava per i “sani di mente”, figuriamoci se si trovava per i “fous”, i pazzi.
La bara, accompagnata da due persone di servizio, fu inumata in una tomba anonima sormontata da una croce recante un semplice numero. Dopo pochi anni i suoi resti mortali sarebbero stati trasferiti in un ossario comune.
Questa fu la miserevole fine di una donna speciale che, secondo la descrizione fatta dal fratello, in gioventù “aveva una bellezza, un’energia, un’immaginazione e una volontà eccezionali”.
Camille Claudel nacque l’8 dicembre del 1864 in un villaggio della Champagne, dove il padre Louis lavorava come funzionario comunale, mentre la madre s’occupava di mandare avanti il ménage familiare, crescendo i tre figli all’insegna dei valori tradizionali: lavoro, parsimonia, fatica, ubbidienza.
In questo quadro d’insieme, ben poco tempo restava per le dimostrazioni d’affetto, specie da parte materna. Il babbo invece riuscì a cogliere e valorizzare l’inclinazione naturale che Camille dimostrò di possedere fin da bambina per la scultura.
Tutto ciò che vedeva, leggeva e immaginava, la spingeva infatti a modellare quelle che, in principio, erano semplici statuine in argilla.
Lo scultore Alfred Boucher, richiesto di un parere dal signor Claudel, comprese il genio che animava quella ragazzina e consigliò al padre di farla “monter vers la Capitale”, perché soltanto a Parigi, a quei tempi centro della vita artistica e culturale di tutta Europa, avrebbe potuto studiare e diventare una vera artista.
Ecco dunque che nel 1881 la famiglia si trasferì nella “Ville Lumière”, dove Camille iniziò a seguire lezioni di modellato presso l’atelier dello stesso Boucher e poi, quando quest’ultimo si trasferì in Italia, nello studio di Auguste Rodin, scultore già di notevole fama.
Di 22 anni più vecchio di lei, brutto, tarchiato e legato a una donna che gli aveva regalato un figlio, ma con la quale non aveva voluto sposarsi, Rodin rimase folgorato dalla bellezza, dal talento e dal temperamento dell’allieva, che in poco tempo diventò la sua più stretta collaboratrice, la musa e l’amante.
Per i successivi dieci anni i due lavorarono a quattro mani in una sorta di fusione artistica, professionale, amorosa e passionale.
A partire dal 1893 però, Camille iniziò a prendere le distanze dal maestro, perché esasperata dai giudizi dei critici che non smettevano di accostare i suoi lavori a quelli di Rodin: lei ormai voleva rivendicare la propria autonomia e la raggiunta maturità artistica.
Quel brusco allontanamento le permise di assicurarsi le prime commesse personali, consentendole di far conoscere al grande pubblico le sue opere presso importanti esposizioni nazionali e internazionali.
“Le Dieu envolé”, “La Petite Chatelaine”, “la Valse”, “Contemplation”, “le Premier Pas”, “Clotho”, ma soprattutto “l’Age Mûr“ sono solo alcune delle bellissime opere in marmo o bronzo realizzate da Camille Claudel in quegli anni di febbrile lavoro, tormentati però dalle ossessioni di cui iniziò a soffrire.
L’amore che aveva provato per Rodin si trasformò in profondo risentimento nei suoi confronti tanto che, sospettando che quest’ultimo volesse impossessarsi delle sue realizzazioni artistiche, ne distrusse alcune inscenando una specie di “esecuzione” e finendo poi per isolarsi nel proprio studio, in mezzo a disordine e sporcizia.
Nel marzo del 1913, a una settimana esatta dal decesso del padre che le mandava ancora aiuti di nascosto, il resto della famiglia decise di chiederne l’interdizione, ordinando il ricovero nel manicomio da cui non sarebbe mai più uscita.
Nel 1988, a 45 anni dalla morte, una splendida Isabelle Adjani, nel film “Camille Claudel”, avrebbe finalmente reso il giusto omaggio a questa grande artista, diffondendo la conoscenza della sua opera e della tristissima vicenda umana che l’aveva vista come protagonista.
Accompagna questo scritto un’immagine di Camille Claudel all’età di 25 anni circa.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Camille_Claudel