21/09/2024
Da oggi , sulla pagina del museo dei pigmenti naturali colorati Santa Teresa dei Maschi, ricominciamo a scadenza settimanale, a raccontarvi la storia dei pigmenti di origine minerale, riprendiamo con un approfondimento sul pigmento Lazur anche detto Blu oltremare
Il Blu oltremare è un pigmento ricavato da una pietra semipreziosa chiamata lapislazzuli. Questa pietra veniva estratta quasi esclusivamente in Oriente, e più nello specifico in Afghanistan. Per questo motivo questo colore viene chiamato anche Azzurro di Baghdad, oltre che Lazullite, Lapislazzuli naturale e Lazur.
Il nome "blu oltremare" deriva dal fatto che il lapislazzuli veniva estratto principalmente in Oriente dai porti del Vicino Oriente arrivava in Europa; da qui "Oltremare", nome che questi territori avevano in epoca medievale. Nel mondo antico, questa pietra era considerata sacra e associata agli dei. Gli antichi Sumeri e Babilonesi ad esempio, lo utilizzavano per creare amuleti e gioielli. Gli antichi Egizi usavano questa gemma per creare oggetti funerari e per decorare le tombe dei faraoni, amavano la gemma e la consideravano addirittura portatrice di una forza divina, infatti era utilizzata nei gioielli ritrovati nelle tombe di faraoni egiziani e per la decorazione delle maschere funerarie, come quella dello stesso Tutankhamon.
Quella del lapislazzuli è una storia molto antica, che comincia più di 7000 anni fa nell’antica civiltà mesopotamica dei Sumeri, come testimoniano i ritrovamenti delle tombe reali nell’antica città di Ur, contenenti statuette e vasellame in lapislazzuli e citazioni nel poema epico Gilgamesh. Il Blu Oltremare ha influenzato in modo molto importante la storia dell’arte dei secoli passati, sia per la sua presenza che per la sua assenza. Va infatti sottolineato fin da subito un aspetto di questo pigmento, il suo costo, si trattava di un colore pagato a peso d’oro. Quando i pittori facevano preventivo dei costi dei loro lavori per i clienti, era prevista una voce per l’uso del Blu oltremare, di modo che fosse il cliente stesso a decidere quanti grammi di pigmento Blu oltremare utilizzare, per ricavare 30 grammi di colore era necessario circa un chilogrammo di minerale, e per avere un blu intenso, e non tendente al grigio, era necessario usare solo il minerale puro e perfettamente macinato.
Vista la sua origine, non stupisce trovare i primi esempi di utilizzo del Blu oltremare in Oriente in alcuni templi nell’area che oggi conosciamo come Afghanistan. Ci sono testimonianze del suo uso anche in Cina nel X secolo e in India nel XI secolo. I primi esempi di utilizzo del Blu oltremare in Occidente si fanno risalire al XI secolo, in Gran Bretagna, in alcuni manoscritti finemente miniati.
Composizione e caratteristiche
Il lapislazzuli è prevalentemente di colore azzurro intenso, ma può tendere anche verso il celeste, a seconda del livello di concentrazione di calcite, che ne determina le striature bianche. Del colore blu è invece responsabile la lazurite, componente più abbondante all’interno della gemma, che presenta anche delle venature dorate di pirite.La pietra si trova in giacimenti abbastanza rari e localizzati in Cina, Cile e Russia. Ma la vera patria di queste pietre blu intenso è l’Afghanistan e, in particolare, nel cuore delle montagne del Badakshan, zona nord-orientale del paese. Si tratta probabilmente della miniera di lapislazzuli più antica del mondo, da lì infatti provenivano le pietre che decoravano monili e oggetti preziosi sumeri ed egizi. Lo stesso Marco Polo nel XIII secolo durante il suo viaggio descriveva quelle montagne, “dove si trovano i lapislazzuli più belli del mondo”.
Il lapislazzuli nell’arte
La bellezza del suo blu ha fatto della pietra anche un materiale straordinario da utilizzare in campo artistico. È indiscussa la sua fortuna nel campo della gioielleria, tra le creazioni spiccano i vasi e le coppe appartenute ai Medici. Piu’ interessante è l’impiego nella storia dell’arte in dipinti e affreschi. Macinando le pietre si otteneva un colore molto brillante, chiamato “oltremare” e definito nei trattati di pittura quattrocenteschi il più perfetto dei colori. Utilizzato per il manto delle Madonne e i drappi barocchi, colore iconografico della Santa Vergine, colore simbolico dei reali di Francia, colore della moda: già dalla fine del Medioevo l’oltremare diventa il blu per antonomasia, il più nobile e ricercato. Per la rarità della pietra e il numero esiguo dei suoi giacimenti, il lapislazzuli era importato in Europa quasi esclusivamente dai mercanti veneziani e il suo costo era paragonabile a quello dell’oro. Ciononostante era la pietra più richiesta, proprio perché capace di restituire un colore brillante e resistente. Molti pittori tuttavia si dovettero abbassare ad utilizzarne solo alcuni pigmenti, su una base di colore meno pregiato, ma non Tiziano, che si dice non si abbassò mai ad utilizzare nient’altro se non il colore puro.
Nel I. secolo d. C. lo storico romano Plinio il Vecchio descrive il lapislazzuli come “un frammento della volta stellata del cielo”. Anche al mondo dell’arte non sembra sfuggire questa somiglianza: il cielo degli affreschi di Giotto della Ca****la degli Scrovegni e quello della Ca****la Sistina affrescata da Michelangelo spiccano per la profondità e il realismo del colore proprio grazie all’uso di tale preziosa pietra.
Il pigmento veniva utilizzato con grande attenzione, e con grande parsimonia: Un’innovazione importante nella lavorazione del Blu oltremare venne introdotta nel XV secolo da Cennino Cennini, con un processo che prevedeva dopo la macinatura l’aggiunta di resine, oli e cera fusa. A questo punto il composto veniva avvolto in un panno e messo in acqua e liscivia, così da ricavare – sul fondo del contenitore – solo il minerale puro, anche grazie a una ripetizione del processo.
Più economico, ma ovviamente più chiaro, era l’azzurro oltremare, il quale veniva realizzato con una percentuale bassissima di lapislazzuli, che costituiva poco più del 2% delle sostanze presenti. Il Blu oltremare, per via del costo, veniva usato solo per lavoro di alto livello, e in generale solo per raffigurare soggetti prossimi alla divinità, a partire dalla Madonna. In ogni caso, nessun artista avrebbe osato mescolare questo prezioso colore con altri pigmenti.
Il Blu oltremare sintetico oggi si scopre che è stato un italiano a scoprirlo e non i francesi
Il blu oltremare era difficile da reperire per il semplice fatto che la sua produzione era limitata e lontana. A questo, nel XVIII secolo, si sommò anche una certa difficoltà nel reperire l’azzurrite. Fu così che si moltiplicarono i tentativi di arrivare a un pigmento blu dalle caratteristiche simili al Blu oltremare senza però il suo costo e la sua difficoltà di reperimento. Il chimico francese Jean-Baptiste Guimet nel 1828 riuscì per la prima volta, ufficialmente, a sintetizzare il pigmento, ottenuto in natura dai lapislazzuli, ma studi recenti hanno stabilito che ben cinquant’anni prima, il blu fu inventato in Italia, a Napoli, nei meandri del laboratorio più misterioso del Settecento, quello di Raimondo di Sangro, settimo Principe di Sansevero. Fu lui, dunque, a creare artificialmente il prezioso colore “oltremare”. La nuova ricerca è stata condotta dall’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, che ha portato alla luce sorprendenti scoperte riguardo alle sperimentazioni sui materiali, in particolar modo la creazione di pietre preziose artificiali e la colorazione del vetro, condotte nel Settecento dal Principe. Lo studio è stato svolto dai ricercatori del Centro interuniversitario “Seminario di Storia della Scienza” con il Dipartimento di Scienze della terra e geoambientali dell’Università di Bari Aldo Moro. I risultati sono pubblicati nell’articolo, da poco uscito: “In search of the Phoenix in eighteenth century Naples. Raimondo di Sangro, nature mimesis and the production of counterfeit stones between palingenesis, alchemy, art and economy”, sulla rivista scientifica Nuncius, Journal of the Material and Visual History of Science, ma un’ anteprima era già stata illustrata al Museo Ca****la Sansevero dalla direttrice, Maria Alessandra Masucci, e dall’équipe guidata da Francesco Paolo de Ceglia insieme a Andrea Maraschi del “Seminario di Storia della Scienza”. Alla presentazione sono intervenuti Alessandro Monno e Gioacchino Tempesta del Dipartimento di Scienze della terra e geoambientali.
Raimondo di Sangro è noto per essersi dedicato alla produzione di pietre preziose artificiali e alla colorazione del vetro. Tra coloro che ebbero l’opportunità di ammirare le sperimentazioni del Principe con il colore e con i vetri colorati, ci fu sicuramente lo scienziato francese de Lalande, che nel suo diario di viaggio annotò: “L’arte di colorare il vetro sembrava un segreto ormai perso; il principe di Sansevero vi si è esercitato con successo; vi sono presso di lui dei pezzetti di vetro bianco, in cui si vedevano differenti colori che erano chiari e trasparenti come se il vetro fosse uscito dalla fornace con quegli stessi colori”. Dunque, per i colori in generale Raimondo nutriva una particolare attenzione: si concentrò, ad esempio, su quelli utilizzati per la volta della Ca****la dipinta da Francesco Maria Russo, conosciuta con il nome di Gloria del Paradiso o Paradiso dei di Sangro, i cui colori sono stati frutto delle sue invenzioni: gli azzurri, i verdi, gli ori, tutti colori decisi, prodotto di una formula creata dallo stesso Principe, che ancora oggi, dopo oltre 250 anni, hanno mantenuto la stessa intensità. Le indagini, per esempio, si sono soffermate sull’analisi dei pigmenti rossi e blu della ca****la di famiglia. I risultati delle analisi hanno confermato che il Principe riuscì a creare il blu oltremare, utilizzandolo per la cornice, intorno all’altorilievo soprastante l’altare maggiore (di Francesco Celebrano e Paolo Persico, anni ’60 del XVIII secolo). La ricerca multidisciplinare di storici della scienza e mineralisti ha quindi potuto provare la veridicità delle fonti riguardo al principe di Sansevero, partendo da un dettaglio quasi trascurabile ritrovato in una famosa guida della città di Napoli di fine Settecento, e approfondendo al microscopio i segreti della Ca****la Sansevero, sulle tracce di due colori: il rosso e, soprattutto, il blu.