20/08/2018
Il ricordo di Claudio Lolli da parte dei nostri amici de Il Parto delle Nuvole Pesanti
CLAUDIO LOLLI: UNO ZINGARO CHE SERVIREBBE TANTO SULLA TERRA.
Certo non avremmo mai potuto immaginare che quel matto di Rambaldo di Storie di Note, l’allora casa discografica di Claudio, ci proponesse di rifare insieme a Claudio il disco “Ho visto degli zingari felici” con i nostri arrangiamenti. Solo a sentire questa idea ci vennero i brividi, figuriamoci a realizzarla. Il primo concerto per presentare il “nuovo disco” lo facemmo a Crotone nell’ambito della prima edizione del festival dedicato ad un altro grande cantautore, Rino Gaetano, che nella città pitagorica c’era nato. Quante prove e quanto sudore prima di salire su quel palco allestito nel piazzale dello stadio. Prove defatiganti in piena estate alle quali Claudio, con al seguito l’inseparabile chitarrista Paolo Capodacqua, si sottoponeva leggero senza mai accennare ad un solo lamento per le fatiche e per il frastuono assordante di batterie, grancasse bandistiche e tamburelli. Dopo nove ore di prove e dopo essere passati da una specie di passione pasoliniana, eravamo pronti per l’esperimento Lolli-Parto, per la rivisitazione di “Ho visto anche degli zingari felici” ventisei anni dopo. Arrivò il momento di salire sul palco davanti a una piazza stracolma di gente. Si capì dalle prime parole di Claudio che il concerto sarebbe stato struggente ed energico ma anche sofferto e venato di tristezza, perché quando ti spelli per essere un artista sincero sai che alla fine del percorso ti aspetta sempre il calice amaro della realtà. Eravamo tutti sotto pressione, emozionati e ribelli, protagonisti di una storia che non sembrava vera. Claudio ci guardava sorridente e commosso, con la sua barba bianca, i capelli lunghi e quegli occhi che gli conferivano un’aria di pace, come se il ritorno dei suoi zingari restituisse serenità al suo mondo interiore, alla sua “piazza umana”. Seguì una tournée straordinaria, dove ogni piazza, ogni palco si trasformava in un fiume di energia pronto a riversare nel mare di tutti la vita di ognuno. Ci sentivamo tutti zingari, uomini tra gli uomini. Noi e Claudio, diverse generazioni e differenti esperienze artistiche, con un grande desiderio di conoscerci e un’immensa voglia di guardare insieme al futuro, senza una meta precisa ma verso una direzione comune, per raccontare e scrivere nuove storie. Alla fine del tour, Claudio, tra il serio e l’ironico, commentò così a un giornalista l’esperienza dei “nuovi zingari: “Non capita spesso, in una carriera, di riscrivere dopo trent’anni un lavoro già fatto con il cuore. E’ come innamorarsi due volte della stessa moglie. E’ un trapianto. Un trapianto che mi ha fatto molto bene. Nessuno prima di Salvatore, Amerigo, Raul, Peppe e Mimmo, aveva fatto ballare ai miei pensosi concerti…”. Se Claudio nel ‘76 aveva visto degli zingari “felici” in Piazza Maggiore a Bologna, nel 2001 quegli stessi zingari erano saliti sul palco imbracciando strumenti e liberando nell’aria l’energia, il ritmo e la fisicità di quel disco che aveva influenzato un’intera generazione, completandone così l’anima e lo spirito. Ma la cosa ancora più preziosa che ci regalò quest’esperienza fu la conoscenza personale di Claudio, la sua infinità umanità, la sua capacità di infervorarsi davanti alle ingiustizie e al contempo di commuoversi davanti al bisogno di affetto. Tutti i pregiudizi di persona difficile e triste si erano sciolti come neve al sole. Ci sembrò avere scoperto un pozzo dove arte e vita finalmente stavano insieme e dal quale potevamo attingere all’infinito. E ora lo piangiamo. Piangiamo la sua follia che lo portava a farsi del male per non farne agli altri, che si rifiutava di credere che i vampiri potessero essere tra gli uomini, che dava rifugio a quanti accarezzavano la loro diversità nel cuore per schivare lo schiaffo di una normalità senza memoria né vento, che dava riparo a tutta quella gente che sorrideva di dolcezza negata e stava con le mani tese a raccogliere le briciole che il mondo lasciava sciattamente cadere. Claudio era un vero poeta, perché non usava il verso come moneta di scambio, ma come amo che pesca disperatamente nelle urgenze interiori cercando di condividerle con gli altri, mettendole in piazza… Divenne un nostro amico fraterno, un riferimento, un faro, e forse anche un padre, ma di quelli che sanno di amore antico. Addio Claudio, luce, amico, fratello e forse anche padre, ci mancheranno le tue lievi carezze…
Salvatore De Siena e il Parto delle Nuvole Pesanti