24/09/2023
IL MORBO DI RITA (PER NON DIMENTICARE)
“Non me la ricordo”.
“Di nuovo?”.
“Non me la ricordo, com’è che fa? Aiutami”.
“Rita, non possiamo andare avanti così, così non va”.
Non se la ricordava, non se la ricordava e non c’era niente da fare. Non c’era un modo, nessuno, per farle entrare in testa la battuta. Per farle entrare in testa un paio di battute di fila. Ancora ancora, riusciva a cavarsela nei dialoghi, dove c’era una qualche interazione con il collega o la collega, ma quando la parte da recitare diventava un po’ più lunga, e per giunta Rita restava sul set da sola, andava in piena crisi.
“Deve bere di meno”, “Guarda com’è ridotta”, dicevano sottovoce le maestranze, mentre il regista la redarguiva, a volte con un tono da genitore, a volte più teneramente, altre volte in maniera molto più decisa. Perché l’orologio girava, il set costava e quelle battute che non uscivano erano un danno per tutti.
Ma Rita non se le ricordava.
Siamo nel 1972, in Messico, e Rita Hayworth, la leggendaria, l’iconica Rita Hayworth, è sul set del film western ‘La collera di Dio’, girato dal regista Ralph Nelson. A volere Rita sul set, in questa produzione americana, è il collega e soprattutto amico Robert Mitchum. La collera è di Dio, nel film, mentre nella lavorazione la collera è del regista, perché Rita non ne imbrocca una. E non si capisce perché. O meglio, si ipotizza che sia per colpa dell’alcol, visto che l’attrice non lo disdegnava. Eppure, sul set si era sempre presentata perfettamente in forma, e aveva sempre lavorato con enorme professionalità.
“Deve bere di meno”, sussurravano i maligni, mentre Rita un po’ piangeva, un po’ si adirava, un po’ sudava e perdeva il trucco, nel momento in cui non le uscivano le battute. Il film fu terminato con un ampio ritardo. E a Rita Hayworth non venne mai più dato un lavoro. Fu sospesa, dimenticata, messa in un angolo e mai più chiamata: perché era lenta, era impacciata, andava in crisi e si dimenticava le battute.
Una delle più grandi attrici di quel tempo, la star di ‘Gilda’ e di tanti altri film culto, gettata nel dimenticatoio. Con un’etichetta di alcolizzata, e senza che nessuno si chiedesse perché non ricordasse nulla, anche quando non beveva.
Rita Hayworth smise di lavorare, abbandonò la professione di attrice ad appena 55 anni, si ritirò a vita privata e andò lentamente in depressione, anche perché, oltre a non ricordare, aveva perso due fratelli nel giro di pochi giorni ed era entrata in collisione con una delle figlie.
Fu solo nel 1980, e quindi otto anni dopo, che uno psichiatra di New York, l’ennesimo che l’aveva visitata, riuscì a dare un nome preciso al morbo di Rita, alla malattia che la stava distruggendo, nella mente, nello spirito e nell’anima. A quella malattia di cui nessuno parlava più, che era finita nel dimenticatoio, che era stata cancellata, proprio come Rita, proprio come gli effetti che provocava.
Il morbo di Alzheimer.
La diagnosi di quello psichiatra venne confermata dai successivi test e a Rita Hayworth, dichiarata incapace di essere autonoma mentalmente e finanziariamente, la Corte Suprema impose la figlia Yasmin come sua tutrice legale. Ma, da quel momento in poi, si riaccesero i fari sul morbo di Alzheimer, la malattia venne nuovamente riconosciuta e studiata: la vita di molte persone migliorò, la vita di molti parenti e amici migliorò, furono istituiti centri specializzati, nacquero associazioni, fu creata una rete di supporto. In America e in moltissime altre parti del mondo.
E questo anche perché, nel 1972, a Rita Hayworth venne data un’etichetta di alcolizzata e le fu impedito di lavorare. Ma lei e chi stava con lei decisero di andare a fondo, dimostrando che dietro c’era molto, ma molto altro.
Una malattia da curare, una malattia da affrontare.
Rita Hayworth è mancata nel maggio del 1987, nella sua casa di New York, affacciata su Central Park. Quello che ha innescato, anche grazie alla sua notorietà, non si è mai più fermato.
Scrivo questa storia oggi perché, proprio oggi, 21 settembre, è la Giornata Mondiale dell’Alzheimer. E l’esempio di Rita Hayworth lo desidero dedicare a tutti quelli che, direttamente o indirettamente, hanno a che fare con questa patologia.
Un abbraccio a tutte e a tutti, e buon giovedì.