Il giardino di Wiam

Il giardino di Wiam Feste ed eventi per adulti e bambini. Attività ludiche e comunicative per un apprendimento interatt

22/10/2024

Mattia si è tolto la vita a 15 anni in un parco della provincia di Cagliari.

La sua mamma Emanuela scrive un messaggio che strazia il cuore, in cui si immerge nel buio che lentamente ha chiamato a sé Mattia fino a rapirlo.
"Mattia era il nostro bambino, aveva 15 anni ed era estremamente intelligente e, come tutte le persone particolarmente intelligenti, era tremendamente sensibile. Una sensibilità che lo faceva sentire diverso e non compreso.
Gentile e affettuoso, vivace, allegro... Ma si sentiva anche incompreso, spesso con poca autostima causata da quegli adulti che sin da piccolo lo hanno tormentato, umiliato, bullizzato solo perché non si uniformava ai suoi compagnetti, perché amava abbracciare gli amici o perché per lui stare seduto per 6 ore era difficile.
Mattia ci ha scritto: "Sono morto a 6 anni" per farci capire che il suo tormento ha origini lontane.
In seconda media, nell'animo sensibile del nostro bambino qualcosa si spezza; non sappiamo cosa sia stato, forse l'esclusione dalla gita scolastica o forse il fatto di essersi sentito per l'ennesima volta tradito da quegli adulti che avrebbero dovuto comprenderlo e guidarlo.
Qualunque cosa sia stato, Mattia ci ha detto che quell'anno ha capito quanto dolore avesse dentro, e quanto questo lo logorasse.
Si sentiva tanto solo, aveva tolto Whatsapp perché nessuno dei suoi amici lo chiamava per chiedergli: "Come stai"? e poi è arrivato il buio a riempire la sua stanza e i pianti tutte le notti.
La scuola non lo comprendeva, e per Mattia era solo un posto in cui si sentiva etichettato.
Mattia in tutto questo tempo ci ha nascosto il suo disagio; solo tra gennaio e febbraio siamo riusciti a percepire che non stava bene. Abbiamo informato la scuola, contattato un consulente psicologico, cercato di prenotare una visita in neuro psichiatria infantile. Abbiamo cercato di chiedere aiuto e purtroppo, per Mattia e per noi, ci siamo scontrati con l'indifferenza della scuola, con un consulente psicologico che lo ha abbandonato quando il suo supporto si rendeva ancora più necessario, e per finire un reparto di neuropsichiatria che mi ha contattata solo il giorno dopo la scomparsa di mio figlio a causa della pessima gestione della mia richiesta di aiuto.
Perché ho raccontato tutto questo? Perché io e mio marito siamo stanchi di sentire che la morte del nostro bambino viene trattata dai nostri concittadini come un pettegolezzo da bar.
Mio figlio era un bambino di 15 anni, era deluso dagli adulti, dalle istituzioni, le stesse che non hanno reputato neanche di dover proclamare il lutto cittadino, nonostante il mio bambino abbia scelto un parco diventato luogo degradato, per porre fine alla sua vita, e la sua non è stata una scelta casuale.
Nostro figlio sarebbe potuto essere uno dei vostri figli, il figlio del sindaco, dello psicologo e di chi risponde al maledetto telefono di un reparto di neuropsichiatria infantile. I suoi pensieri sono i pensieri dei vostri figli, e chiunque potrebbe ritrovarsi come me e Christian, disperati per non essere riusciti a salvare il proprio figlio.
Sono trascorsi mesi da quel maledetto giorno, mesi in cui noi non ci diamo pace, in cui nostro figlio ci manca come il respiro; sono trascorsi mesi e ne passeranno tanti, tanti altri in cui noi continueremo a soffrire. Ma sono passati anche mesi che avrebbero dovuto far riflettere tutti quegli adulti che, in un modo o nell'altro, hanno tradito nostro figlio e tradiscono ogni giorno i figli di qualcun altro.
Mattia ci ha detto che ci amava, e soltanto di questo purtroppo noi ci potremo nutrire. Concludo chiedendovi di condividere, nella speranza che qualcuno comprenda quanto sia necessario tacere se non si sa o non si conosce, ma soprattutto portare rispetto ad un bambino di 15 anni che non è riuscito a sopportare il male del mondo.
Grazie a tutti coloro che ci sono vicini, Emanuela e Christian, i genitori di Mattia"
Emanuela e Christian, forza!

Patrizia D’Annibale

18/08/2023

Se l'avevi combinata grossa..ti toccava subirla..ma non si chiamava "violenza su minore" la chiamavano: "educazione".
Poi, hanno inventato le facoltà di psicologia, sociologia, pedagogia, ecc...e sta scomparendo l'educazione !
(Web)

28/06/2023
28/06/2023

👏👏🍾🍾🥂🥂

Un ringraziamento particolare a Giorgia rappresentante di classe dell’ultimo anno di scuola materna dell’istituto Elio V...
28/06/2023

Un ringraziamento particolare a Giorgia rappresentante di classe dell’ultimo anno di scuola materna dell’istituto Elio Vittorini per averci scelto come location per festeggiare questo evento speciale!!! 😊😊 Auguri a tutti i bimbi per la nuova avventura🎓🎓 📜

28/06/2023
25/06/2023

Ancora un grazie speciale alla Vulcano animazione che come sempre rende unica e speciale ogni festa!! 😊😊😊

03/04/2023

In occasione del 2 aprile, giornata mondiale della consapevolezza sull'autismo, ti proponiamo due letture scelte. Vogliamo cominciare da un messaggio

13/03/2023

Soffro di disturbi dell’attenzione.

A scuola, da bambino, quando eccellere significava conformarsi, starsene seduti zitti e composti, studiare risme di informazioni all’apparenza tutte uguali, questa parte di me era una maledizione. Mi faceva sembrare un buono a nulla. Uno senza speranza. Un fallito.

Oggi sono il CEO di una delle organizzazioni umanitarie in più rapida espansione in Italia, Still I Rise, grazie alla quale diamo lavoro a quasi 150 persone in Italia e nel mondo, contribuendo milioni di euro ad alcune delle economie più depauperate del globo. È proprio questa mia mente bizzarra a permettermi di innovare, di alterare gli equilibri, di lavorare su più fronti contemporaneamente per trovare soluzioni nuove a problemi vecchi come il mondo. È proprio ciò che più mi rendeva “strano”, “sbagliato” o “inadatto” agli occhi della gente a essere diventato la mia risorsa più grande.

“Pensatore sottosopra”, ecco come si definiscono le persone come me negli ambienti accademici oggi. Vent’anni fa? Vent’anni fa eravamo solamente dei piantagrane, delle delusioni, delle patate bollenti, delle seccature. Ma il mondo di oggi non è più quello di 20 anni fa, per fortuna, e oggi sappiamo che alcuni tipi di neurodiversità, se capite, accolte e stimolate, possono rivelarsi ancor più efficaci di molte cosiddette “neurotipicità”. Gli studi dimostrano che il disturbo dell’attenzione può nascondere in realtà uno spiccato istinto creativo e di risoluzione dei problemi, la capacità di rispondere alle crisi con maggiore controllo di sé, la propensione all’intrepidezza e all’imprenditoria e una predisposizione all’intuitività e all’attenzione al dettaglio.

Sempre più leader nel mondo ammettono di avere neurodivergenze, tra cui i disturbi dell’attenzione, senza più vergogna ma come un dato di fatto: il loro successo, in molti casi, deriva proprio da questa anomalia. E se il mondo negli ultimi 20 anni è riuscito a evolversi, perché la scuola è ancora ferma al controllo e all’uniformità?

È quindi agli insegnanti, ai presidi e agli educatori che mi rivolgo oggi, non solo in qualità di ex-studente che tanto ha sofferto sui banchi di scuola ma soprattutto come collega e insegnante a mia volta: solo quando riusciremo a immaginare una scuola in grado di costruire, anziché l’uniformità, la sovversione dello status quo, potremo davvero cambiare il mondo. Solo se sapremo riconoscere in ogni studente un patrimonio irripetibile di talento e potenziale potremo crescere un’umanità più felice. Solo quando avremo il coraggio di immaginare un futuro veramente inclusivo partendo da un presente più gentile, allora riusciremo a vivere in un mondo di pace e armonia, dove il diverso sia accolto come prezioso anziché schiacciato come non conforme. Noi di Still I Rise stiamo testando un Metodo Educativo nuovo, che punta, anziché al controllo, al rigore e all’obbligo, alla ricerca dell’universale attraverso il particolare, all’individualità culturale, emotiva e psicosociale di ogni bambino e, dunque, a un’eccellenza cercata all’interno, e non al di fuori, di ogni studente.

E se ti sembra utopia, è solo perché ti hanno abituato a guardare le sbarre anziché il giardino, bellissimo, poco più in là. Te lo dice uno dei tanti proverbiali pesci a cui avevano detto che per vincere bisognava scalare gli alberi, fin quando poi mi sono accorto dell’oceano, immenso, che mi aspettava dietro l’angolo. E così ho capito di non essere “sbagliato”, solo diverso, e ora apro Scuole in cui la diversità non è ostacolata ma premiata, così che nessun bambino debba più sentirsi un fallito o rimanere indietro.

24/02/2023

È il 1990 a Baltimora, Maryland. Un giorno la maestra d'asilo convoca d'urgenza mamma Deborah, per tutti Debbie.
"Michael non riesce a stare seduto, non sta mai tranquillo, non riesce a focalizzare" dice la maestra.
"Forse è solo annoiato" risponde Debbie.
"Impossibile. Si rassegni, semplicemente suo figlio non è dotato, non sarà mai in grado di focalizzarsi su nulla" sentenzia la donna senz'appello.

Il bambino in questione, quel Michael, di cognome fa Phelps, ha 5 anni, è cresciuto senza padre in una famiglia interamente femminile, insieme alla madre e alle due sorelle, e fino a quel momento non ha quasi mai messo piede in una piscina. Quando lo fa per la prima volta, è talmente terrorizzato all'idea di ba****si la faccia, che l'istruttore è costretto a insegnargli il dorso. Michael ha un talento innato, ma discontinuo. A scuola non va meglio. Tutte le sue insegnanti ripetono a Debbie sempre le stesse cose: "Non riesce a concentrarsi in nessun compito", "non è portato per questa o quella materia", "infastidisce il compagno di banco". Debbie allora decide di sottoporlo a una visita specialistica. La diagnosi è chiara: ADHD o DDAI, meglio noto come Disturbo da deficit di attenzione/iperattività.

Ma Debbie, oltre ad essere una mamma, è anche insegnante e preside. E si mette in testa di dimostrare a tutti che sbagliano. "Sapevo che, se avessi lavorato duro con Micheal, lui avrebbe potuto raggiungere tutti gli obiettivi che si fosse prefissato.” Lavora a stretto contatto con le insegnanti di Michael e, ogni volta che una di loro le dice "non riesce a fare questo", lei risponde: "Bene, cosa possiamo fare per aiutarlo?" Di fronte alle sue difficoltà con la matematica, gli trova un tutor e un metodo che susciti l'interesse di Michael, con problemi di questo tipo: “Quanto tempo impieghi a nuotare per 500 metri se nuoti ad una velocità di 3 metri al secondo?”.

Trasforma i limiti di suo figlio in opportunità. Ogni volta che lui ha uno scatto di rabbia o di frustrazione in piscina, lei dagli spalti gli fa un segnale convenzionale a forma di C che, nel loro linguaggio privato, significa "Ricomponiti".

Michael migliora a scuola, mentre in vasca è già un piccolo squalo: a 11 anni, è più forte e veloce di qualsiasi altro suo coetaneo che abbia mai nuotato negli Stati Uniti. Debbie viene, allora, convocata per il secondo colloquio più importante della vita di Michael. Questa volta non è una maestra d'asilo ma il suo allenatore, Bob Bowman. È il maggio del 1996.

"Signora, ora le dico cosa succederà" esordì. "Nel 2000 Michael parteciperà ai Trials olimpici. Non so se conquisterà la convocazione, ma sicuramente farà parlare di sé. E nel 2004 sarà senza dubbio un atleta che vincerà delle medaglie olimpiche. E saremo solo all’inizio”.

Bob sbagliava. Nel 2000, a Sydney, non solo Michael si qualificherà nei 200 metri farfalla, ma raggiungerà la finale, classificandosi al quinto posto, sfiorando il podio e una medaglia. Aveva 15 anni appena compiuti. Da quel giorno, per i successivi 16 anni, Phelps conquisterà 83 medaglie, di cui 66 d'oro, 28 olimpiche, 33 iridate, in otto diverse discipline, diventando, nel 2008 a Pechino, l'atleta con più ori (otto) in una sola edizione della storia dei Giochi e, per distacco, il nuotatore più vincente di ogni tempo, oltre a uno degli sportivi più forti di ogni sport o epoca.

Quel campione inarrivabile e icona planetaria è stato un bambino con deficit dell'attenzione diagnosticato, come decine di milioni di altri bambini come lui in tutto il mondo. Con la sola fortuna di avere avuto al suo fianco una donna e una professionista che non lo ha mai giudicato, né giustificato, ma lo ha spinto a ti**re fuori il proprio talento dove altri vedevano solo disturbi, disattenzione e iperattività. Avrebbe potuto rassegnarsi, come le aveva consigliato la sua prima maestra d'asilo. Invece Debbie ha deciso di fare qualcosa di molto più lungo e faticoso: credere in suo figlio.

Forse nessuno di quei milioni di bambini diventerà mai Michael Phelps - che importa? - ma dietro lo stigma di una diagnosi e di un giudizio senz'appello, ci sono persone con talenti e capacità fuori dal comune in qualunque ambito o professione. A volte quello che manca è solo qualcuno disposto a vederli e a riconoscerli. Una come Debbie Phelps, per esempio.

16/01/2023

“QUELLO CHE CI SIAMO SENTITI DIRE DA BAMBINI:

stai fermo, muoviti, fai piano, sbrigati,
non toccare, stai attento, mangia tutto,
lavati i denti, non ti sporcare, ti sei sporcato, stai zitto, parla t’ho detto, chiedi scusa, saluta, vieni qui, non starmi sempre intorno, vai a giocare, non disturbare, non correre, non sudare, attento che cadi,
te l’avevo detto che cadevi, peggio per te, non stai mai attento, non sei capace, sei troppo piccolo, lo faccio io, ormai sei grande, vai a letto, alzati, farai tardi, ho da fare, gioca per conto tuo, copriti, non stare al sole, non si parla con la bocca piena.

QUELLO CHE AVREMMO VOLUTO SENTIRCI DIRE DA BAMBINI:

ti amo, sei bello, sono felice di averti, parliamo un po’ di te, troviamo un po’ di tempo per noi, come ti senti, sei triste, hai paura, perché non hai voglia, sei dolce, sei morbido e soffice, sei tenero, raccontami, che cosa hai provato, sei felice, mi piace quando ridi, puoi piangere se vuoi, sei scontento, cosa ti fa soffrire, che cosa ti ha fatto arrabbiare, puoi dire tutto quello che vuoi, ho fiducia in te, mi piaci, io ti piaccio, quanto non ti piaccio, ti ascolto, sei innamorato, cosa ne pensi, mi piace stare con te, ho voglia di parlarti, ho voglia di ascoltarti, quando ti senti più infelice,
mi piaci come sei, è bello stare insieme, dimmi se ho sbagliato”.

Elena Gianini Belotti

📌 Mi fa molto riflettere questo scritto della pedagogista Elena Gianini Belotti, quante volte ci siamo sentiti ripetere certe frasi, come un disco rotto quando eravamo piccoli... alcune sono giuste, vanno dette perché rientrano nell’educazione positiva, insegnano regole sane, ma con che tono come bambini le abbiamo ascoltate? E come adulti oggi con che tono le pronunciamo?
Altre frasi invece invece dovremmo evitarle, completamente. Fanno male.

E se leggiamo invece il secondo pezzo, quante di quelle frasi diciamo ai bambini? (O ci siamo sentiti dire da piccoli) Con che frequenza? Con che intonazione della voce? Con che sguardo e mimica facciale?

A volte le cose più semplici sono le più complesse... vale la pena pensarci un po’ su, per non ripetere… per rimediare. 💕 VS

♥️
11/09/2022

♥️

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