05/07/2023
Sono esistiti legionari 'romani' di 'etnia Ligure'?
La risposta è si!
Sembra che le pietre fluviali fossero supporti epigrafici diffusi nella Cisalpina sud-occidentale. Questi massi, originari delle Alpi, si separavano dalle rocce a causa dell’azione erosiva dei ghiacciai e rotolavano verso i fiumi e i torrenti della regione. Le pietre fluviali venivano utilizzate come segnacoli per le sepolture e spesso presentavano dediche con nomi dei defunti, solitamente estranei alla struttura romana dei tria nomina e spesso di origine celto-ligure.
La mancanza di informazioni chiare sull’arco temporale dell’utilizzo delle pietre fluviali rappresenta ancora un enigma. A causa della natura delle pietre, della loro provenienza dalla campagna e dei formulari onomastici che riflettono forme celto-ligure poco romanizzate, si ipotizza che fossero utilizzate da un ambiente prevalentemente indigeno che abitava e coltivava la regione. Tuttavia, a causa della mancanza di parametri di valutazione epigrafica e delle conoscenze ancora limitate sulla romanizzazione del territorio e sull’archeologia, i dati disponibili sono frammentari e soggetti a interpretazioni ambigue. Ad esempio, per le pietre fluviali trovate nell’area taurinense menzionate nel quinto volume del CIL sotto il capitolo “Inter Durias duas”, è stata attribuita in modo convenzionale un’epoca generica, come l’aetas aut Augusta aut extremae rei publicae liberae, considerando i nomi epicori ancora poco adattati allo schema dei tria nomina romani.
Si presume una scala cronologica più recente man mano che gli indizi della loro normalizzazione diventano significativi e, infine, preponderanti.
La pietra fluviale conservata a Piozzo, un centro abitato che faceva parte dell’amministrazione di Augusta Bagiennorum Benevagienna durante l’epoca romana, rappresenta una nuova fonte di verifica. Questa pietra fu scoperta nel 1968 nella località di Roverde e venne successivamente riutilizzata come scalino nell’abitazione di una fattoria adiacente. Attualmente è incastonata accanto alla cappelletta di S. Bartolomeo. La pietra ha dimensioni di circa 60 x 37,5 x 31 cm, con lettere ruvide incise di circa 4,5-5,5 cm, separate da interpunzioni tonde.
La dedica riporta il seguente testo :
“C(aius) Nevvius (!) / C(ai) (filius) V(o)l(tinia tribu) Asus, / leg(ionis) IIII.”
L’epitaffio conciso indica che il defunto era un legionario che era tornato a casa dopo il congedo, una situazione comune tra i numerosi legionari presenti anche nelle campagne liguri. Il suo nome, Nevius, rappresenta un ibrido latino-celtico che indica un processo di romanizzazione in corso, mentre il cognome Asus ha radici celtiche. La dedica contiene anche la sigla tribale Voltinia. Nel complesso, l’onomastica suggerisce una cronologia relativamente recente, molto probabilmente non oltre l’età augustea.
Per confermare e definire meglio la datazione, è importante esaminare la qualifica del legionario. Un primo indizio significativo è la numerazione della legione, la Quarta. Sette legioni portarono questo numero nel corso del tempo, ma nel caso specifico l’assenza di un soprannome è rilevante. Infatti, l’uso di distinguere le legioni solo con il numerale era comune durante la tarda Repubblica. Tuttavia, la Quarta legione documentata sia storicamente che epigraficamente, senza ulteriori aggettivi, fu probabilmente quella formata forse ancora da Cesare nel 47 a.C., prima di diventare una legione di spicco nell’esercito di Ottaviano e di partecipare alla battaglia di Filippi. In quel periodo, un’altra Quarta legione era al servizio di Marco Antonio, come attestato da una serie di denari con la scritta “Ant(onius) aug(ur) III vir r(ei) p(ublicae) c(onstituendae) / leg(io) IIII”, coniati intorno al 34 a.C.
Quindi, ci sono due legioni con lo stesso numero “IIII”, entrambe prive di ulteriori distintivi, entrambe operative durante il secondo triumvirato, e sembra che il soldato bagienno possa essere assegnato a una di esse. Tuttavia, possiamo escludere che fosse nell’unità di Ottaviano, poiché le prime quattro legioni, numerate da uno a quattro, venivano regolarmente formate e reclutate dai consoli in carica. Non si hanno notizie di regolari arruolamenti nella Cisalpina, né nella più recentemente romanizzata regione dei Bagienni, prima della riforma augustea. Tuttavia, Antonio fece qualcosa di simile. Secondo una lettera di Asinio Pollione nell’epistolario di Cicerone (Ad fam. X, 33, 4), scritta dopo la battaglia di Modena, Antonio aveva cinquemila cavalieri, tre legioni sotto le insegne e una legione senza armi appartenente ai Bagienni. Questo episodio si riferisce ai tentativi di Antonio di reclutare truppe nella Cisalpina per contrastare l’esercito consolare e Ottaviano. Le comunità della regione rimasero in gran parte fedeli al Senato e in effetti boicottarono Antonio, ma ottenne comunque alcuni successi, come indicato nella lettera. Si fa riferimento a un consistente nucleo di cavalleria, tre legioni reclutate da Ventidio Basso nel Piceno.
Nella lettera di Asinio Pollione, si fa riferimento a tre legioni contrassegnate dai numeri VII, VIII e IX, reclutate da Ventidio Basso nel Piceno, e a una nuova unità che era stata reclutata da un fiduciario di nome Publius Bagiennus. Il cognome Bagiennus, chiaramente riconducibile all'etnico, fa pensare che fosse un inviato originario del territorio dei Bagienni, ancora in fase di romanizzazione, e che Antonio si fidasse della sua notorietà tra i nativi per reclutare i coscritti di cui aveva estremo bisogno. Queste informazioni indicano che la legione a cui il soldato bagienno potrebbe appartenere è probabilmente quella di Marco Antonio, che reclutò truppe anche dalla regione Bagenna Riserva naturale speciale dell'area di Augusta Bagiennorum.
Le argomentazioni basate sull’epigrafe trovata si rafforzano ulteriormente e si allineano sia temporalmente che spazialmente al riferimento di Cicerone. La cronologia tardo-repubblicana deducibile dall’onomastica di C. Nevius Asus, la collocazione della pietra fluviale nell’area in cui operava l’agente di Marco Antonio e l’esistenza confermata di una Quarta legione tra le truppe del triumviro, convergono nel suggerire che C. Nevius Asus fosse uno dei soldati che seguirono le istruzioni dell’agente antoniano.
Forse reclutati da poco, i nuovi coscritti, sfruttando la loro astuzia ligure e la conoscenza del territorio, contribuirono al successo del rischioso passaggio dell’esercito attraverso la Gallia Narbonese, facendo fallire l’inseguimento organizzato da Decimo Bruto attraverso le regioni di Dertona, Aquae Statiellae e l’area bagennate. Tuttavia, non si sa nulla del destino successivo di questi uomini, e si è ipotizzato che potrebbero essersi uniti alle rimanenti unità di Antonio o costituire una legione vernacolare separata.
IL RITORNO DI UN REDUCE
Dopo aver servito per un ulteriore decennio nell’esercito di Antonio nell’ambito degli accordi tra i triumviri, al momento della generale smobilitazione successiva alla guerra di Azio, C. Nevius Asus non fece ritorno immediato al suo luogo d’origine o, almeno, non dichiarò appartenenza alla tribù Camilia dei cittadini di Augusta Bagiennorum. Infatti, nella dedica, dichiara di appartenere alla tribù Voltinia. Questa menzione, apparentemente insolita, può essere spiegata nel passo di Cassio Dione (LI, 4, 6).
In effetti, dopo la battaglia di Azio, Ottaviano confiscò le terre delle località italiane che avevano sostenuto Marco Antonio e deportò gli abitanti in almeno due colonie al di fuori dell’Italia: Dyrrachium in Illiria e Philippi in Macedonia . Quest’ultima fu successivamente rinominata Colonia Augusta Iulia Philippi dopo ulteriori modifiche e gli abitanti furono assegnati alla tribù Voltinia, proprio la stessa tribù a cui apparteneva C. Nevius Asus. Quindi, è probabile che anche lui sia finito a Philippi come colono.
La coincidenza si presta a qualche considerazione. Anzitutto, poiché il provvedimento fu preso nei confronti di coloro che in Italia avevano concretamente favorito la causa di Antonio, bisogna concludere che i Bagienni vi erano rimasti coinvolti in misura ben più massiccia e sostanziale di quanto faccia credere la scarna allusione dell'epistolario ciceroniano, e che dopo Azio si vollero saldare i conti anche con precise e pregresse responsabilità locali. In secondo luogo, è evidente che nei campi lasciati dai Bagienni filoantoniani a maggior ragione non avrebbero potuto subentrare i loro parenti che avevano militato nelle file del triumviro sconfitto, indipendentemente dal servizio onorevole che essi avevano prestato in un conflitto che, a livello di massa combattente, era stato comunque privo di motivazioni ideologiche: fu pertanto logica e naturale la decisione di farli convergere anch'essi a Filippi, e di ricongiungerli ai rispettivi nuclei familiari nella prospettiva di un comune destino di coloni. In terzo luogo, risulta adesso chiaro che al posto dei Bagienni, come altrove in Italia, andarono gli ex combattenti di Ottaviano [22]: ne consegue che, prima di essere ridistribuito, il territorio venne sicuramente ricatastato e fu oggetto di un'effettiva pianificazione che però finora si è soltanto ipotizzata sulla base della denominazione di Augusta Bagiennorum assunta dal capoluogo e allusiva a un intervento augusteo, peraltro inquantificabile; è anzi verosimile che la fondazione dello stesso capoluogo, se non il suo potenziamento con un nuovo piano regolatore in parte emerso negli scavi, sia da mettere in rapporto diretto con l'arrivo dei veterani, benché la sua mancata elevazione alla dignità di colonia faccia pensare a una ristrutturazione non radicale che avrebbe lasciato qualche spazio abitativo ai nuclei di Bagienni non compromessi nell'avventura antoniana.
Infine, la decisione di deportare alcuni dei Bagienni in una colonia al di fuori dell’Italia, compresi i reduci, non fu particolarmente punitiva. Infatti, oltre a ottenere la cittadinanza diventando coloni, a un certo punto ebbero la possibilità di ritornare nel loro territorio d’origine. È interessante notare che C. Nevius Asus tornò come incola, mantenendo la sua precedente appartenenza tribale anziché adottare quella del nuovo domicilio. La translatio domicilii era un diritto concesso ai cittadini che non avevano questioni in sospeso con il loro vecchio municipio e che non avevano ricoperto incarichi pubblici negli ultimi sei anni. Tuttavia, ci sono numerosi casi in cui, per motivi personali sconosciuti, il cambio di domicilio non comportava automaticamente un cambio di tribù, e questo potrebbe spiegare perché C. Nevius Asus non abbia modificato la sua ascrizione tribale [24].
È possibile supporre che il mancato adeguamento tribale di C. Nevius Asus possa essere stato un disincentivo imposto dalle circostanze del piano coloniario, come un divieto di ottenere la cittadinanza locale per i coloni che lasciavano le loro assegnazioni e tornavano nelle città natali. In ogni caso, gli incolae avevano uno status giuridico inferiore rispetto ai cittadini a pieno titolo, con limitazioni sostanziali dei diritti di voto. Tuttavia, alcuni preferirono questa condizione piuttosto che trascorrere la vita coltivando una terra straniera lontano da casa, in una regione instabile e circondati da una massa di coloni eterogenei.
C. Nevius Asus fu uno di coloro che non resistettero alla nostalgia e chiuse infine i suoi giorni nei campi della patria che aveva lasciato tanti anni prima. È possibile collocare il suo decesso tra il 15 e il 10 a.C. al massimo, considerando che potrebbe essersi arruolato intorno ai vent’anni nel 43 a.C. e che si suppone abbia vissuto ancora per circa vent’anni dopo il congedo nel 31 a.c.
È vero che, sebbene approssimativo e privo di dettagli specifici, il termine cronologico assegna con sicurezza relativa una pietra fluviale a un periodo compreso tra la tarda età repubblicana e i primi anni dell’era imperiale. Questo fornisce la prima testimonianza di un militare ligure coscritto prima della riforma augustea. Tuttavia, è importante notare che l’iscrizione offre anche una conferma eloquente della rapidità del processo di romanizzazione dell’elemento indigeno. Questo processo, senza ignorare l’influenza lasciata dalle precedenti assegnazioni di coloni medi-italici da parte di Virgilio, trovò nel servizio militare un incentivo cruciale per l’emancipazione dell’individuo. Ciò anticipò una pratica che presto divenne comune e quasi obbligatoria per coloro che avevano poche altre opportunità di ottenere la cittadinanza in altro modo.
La storia di una persona come noi...
della nostra terra!
Un reduce, come tanti ( ma non proprio tanti ) nostri nonni...sopravvissuti alla fredda Russia, durante la lontana ( ma non lontanissima ) seconda guerra mondiale..
Un 'nonno bagienno' di duemila e 'pussa' anni fa!
Ed è uno dei motivi principali, per i quali ci piace rievocare, e farlo BENE!
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Cohors II Ligurum
Il Segreto di Annibale