Piacere Iseo Punto d'incontro

Piacere Iseo Punto d'incontro CONDIVISIONE, EVENTI, PROMOZIONE, VALORIZZAZIONE, VISIBILITA' DEL TERRITORIO DI ISEO, DEL LAGO SEBIN

07/11/2024

Nel chiuso della stanza di un ricovero, un novantenne scrive su dieci quadernoni la storia della sua vita. Il figlio la romanza, facendone una trilogia. Un percorso fatto di disabilità e virtù, emarginazione e agiatezza, cuori buoni e cuori cattivi, spirito di rivalsa e di sacrificio, nella fiduc

06/11/2024

Riccardo Venchiarutti è stato riconfermato all’unanimità presidente di Visit Lake Iseo, l’associazione che si occupa della promozione turistica del Sebino e riunisce 23 comuni del lago e le province di Brescia e di Bergamo. Il Sindaco di Iseo presiede Visit Lake sin dalla sua fondazione, nel 2...

Oggi, camminando, sono incappato nella vetrina di un negozio chiuso, con una scritta, lasciata lì da chissà quanti anni....
31/10/2024

Oggi, camminando, sono incappato nella vetrina di un negozio chiuso, con una scritta, lasciata lì da chissà quanti anni.
La scritta diceva: "Attendi qui il tuo turno".
Avrei voluto farmi una fato, ma i selfie fanno risultare le scritte al contrario. Ho deciso quindi di riprendere il cammino, pensando da quanto tempo stia aspettando il mio turno. Ho ricevuto poi due o tre messaggi e telefonate, che come al solito mi hanno fatto tornare alla realtà. Così, camminando, è venuta fuori questa cosa qua:

CHI SONO DAVVERO
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Chi sono davvero? Sono uno che non viene mai preso sul serio. Sono uno che nello sguardo di tanti non è previsto. Sono uno che fa di tutto nel suo niente quotidiano. Sono lo scemo del villaggio. Sono nebbia e sole, sono il mio tempo, sono rancore e sentimento. Sono un libro aperto dai capitoli incompiuti. Sono il guardiano dei miei sospiri. Sono una poesia priva di rime e di quartine. Sono note scarne di una canzone che fatica a tenere il tempo. Ecco, sono di nuovo fuori dal tempo. Posso essere oggi pessimista, domani non ottimista, quasi sempre coerente e realista: la mia strada è un cespuglio di rovi e malerba, e mi devo arrangiare, navigando a vista. Sono uno che passa i giorni a capire chi sono e cosa voglio, e quando mi faccio prendere dalla presunzione, sono uno che passa i giorni a capire chi siamo e cosa vogliamo. Dicono che sono bravo, che sono talentuoso, che nelle cose che faccio non tradisco mai: raggiungo gli obiettivi, supero le attese. Ma sono le mie attese e di nessun’altro, e così, alla fine, mi ritrovo sempre sulla corsia di destra, mentre alla mia sinistra mi vedo superare con passo bieco e felpato da amici di amici, raccomandati, scaltri, meschini, paggetti e depressi. Sì, anche i depressi, coloro che nella vita hanno sbagliato più volte, ma hanno sempre avuto un seconda e terza opportunità, a discapito di chi si è sempre dovuto ridurre all’ingoio del boccone amaro e al silenzio, per non finir etichettato come permaloso menagramo, fatto preda dal vittimismo. La mia casa è piena di libri, quasi tutti letti fino a pagina 50. Quelli non andati oltre la soglia, sono diventati arredo, ma i pochi che hanno osato andare oltre il confine, mi hanno fatto attraversare l’America da fermo, cambiandomi la vita in meglio. Vivo continuamente di passato e di ricordi. Vorrei svegliarmi domattina e tornare in quel campo disadorno di zolle sconnesse: terza B contro terza C, con i pali delle porte fatti di giubbotti. Vorrei ancora una volta infiascare il vino con la nonna, in quel garage che oggi è camera da letto dove i turisti consumano vacanze e ore d’amore. Vorrei fare ancora una volta la schedina del Totocalcio con mio padre, in cucina, il venerdì sera, da portare poi alla ricevitoria del bar Centrale per separare la Madre dalla Figlia con l’ebrezza di uno strappo netto di righello. E ancora, vorrei rivedere l’Orsa al campo dell’oratorio, tornare a cantare nel coro del maestro Bandoli. Vorrei dimostrare a Madre Signorini di avere finalmente imparato a memoria il Salve Regina. Vorrei finire il collegio di San Bernardino senza scappare via dopo dieci giorni. Vorrei ancora una volta poggiare sotto le coperte il termometro sopra la borsa dell’acqua calda, e far finta di avere la febbre per non andare a scuola. Vorrei tornare a falsificare le firme di mia madre e di mio padre sulle note prese a scuola. Vorrei tornare agli sguardi stanchi e assonnati dal cuscino, ascoltando le favole di Cappuccetto Rosso e Bertoldino, nel ricordo di immagini sfuocate, delle voci di lontano, dei sogni di bambino. Sono uno che da giovane avrebbe dovuto osare di più con le ragazze, invece di sognare il grande amore. Sono uno che cerca posti senza guerra, anime innocenti scomparse in fondo al mare, professionista nel non comprendere e negli amori e sentimenti non corrisposti. Sono uno sempre in cerca di una dimensione, sempre pieno di rimpianti e di speranze vane. Sono uno che vive di condizionali, sono uno che “vorrebbe”. Avrei voluto scrivere io la frase: “non sono che il contabile dell’ombra di me stesso”. Avrei voluto essere io Corto Maltese, e mettermi lì, seduto sul divano, pronto ad andare per il mondo con la fantasia e dirvi che: “Non sono un eroe, mi piace viaggiare e non amo le regole, ma ne rispetto una soltanto, quella di non tradire mai gli amici. Ho cercato tanti tesori senza mai trovarne uno, ma continuerò sempre, potete contarci, ancora un po’ più in là...”. Avrei voluto infine camminare sulle acque, e in virtù di questo prendermi, senza fare il seminario, la qualifica Honoris Causa di prete, e poter benedire tutto quello che non possiamo permetterci di perdere e che ho trovato nei versi di una canzone a voi sconosciuta, che io amo alla follia:
Benedetta sia la gentilezza, benedetto lo stupore, benedetta sia la verità, se la verità è dolore. Benedetto sia l’incanto, benedetta sia l’espiazione, benedetta sia la luce che ci illumina il cammino, benedetta la dolcezza che diventa comprensione, benedetta la complicità che unisce le persone.

“Gli uomini veramente grandi, secondo me, devono provare una gran tristezza su questa terra”. Lo ha scritto Dostoevskij, ma solo perchè è nato prima di me, ed è stupefacente come i pensieri dei più grandi scrittori, filosofi, romanzieri e pensatori di tutti i tempi, a volte si rispecchino fedelmente nelle riflessioni e nei pensieri degli scemi di ogni villaggio e di quelli come me, mai previsti in nessuno sguardo, che sentono però di avere un cuore profondo e un animo sensibile, ed è per questo che non ridono mai. Ma sì... al fin della fiera, non lo so neppure io chi sono davvero. Intanto sto con me, penso e scrivo, non ho ancora capito se per sfuggire, avvicinarmi alla verità, o più semplicemente perchè so che almeno in questo non devo dipendere da alcuno. Nell’attesa che si sveli l’arcano, sopravvivo con sentimenti mutanti agli scampoli di questa vita che mi sta stretta quanto un vestito di tre taglie in meno, continuo a cavalcare i temporali, come un indiano non ancora vinto dai cowboys; guardo timoroso al futuro e mi auguro che l’ultimo che rimarrà in piedi dopo l’ultima delle assurde guerre, scriva una storia diversa da quella che stiamo vivendo, e chiuda per sempre la porta a questa stagione di morte e di morti, mettendoci sopra un cartello con scritto:
“Quant’è bella la vita!”

Da "L'ORTO DEI FRUTTI DIMENTICATI" - di... me.
(in uscita appena troverò un editore)

30/10/2024

L'ing. Silvio Mori, iseano è il nuovo presidente di Sebinfor, Il Consorzio Forestale Sebino Bresciano formato dall’unione della Comunità Montana del Sebino Bresciano, da 10 Comuni della sponda orientale del lago d’Iseo e dalla Riserva Naturale Torbiere del Sebino. L'ha eletto all'unanimità l'...

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30/10/2024

NUOVO APPUNTAMENTO:
18 GENNAIO - BIBLIOTECA DI POMBIA - NOVARA
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PROSSIMA DATA: 5 NOVEMBRE
BIBLIOTECA ARIOSTEA - SALA AGNELLI
ORE 17 - FERRARA

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22/10/2024

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21/10/2024
MANDAMI A DIRE --------------------Viso paffuto che pareva uscito da un quadro di Botero, sguardoda inferiore consapevol...
19/10/2024

MANDAMI A DIRE
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Viso paffuto che pareva uscito da un quadro di Botero, sguardo
da inferiore consapevole, Laura scendeva ogni mattina da Santa
Teresa per raggiungere le scuole elementari.
Nelle sue parole mai dette per timidezza, e nei suoi pensieri mai
palesati, neppure in un’ipotetica ora d’aria, sono sicuro che
avrebbe preferito restare là, nel ventre della collina, dove qualche
anno prima si trovavano le sezioni distaccate per chi viveva da
Bosine fino a Polaveno. Sarebbe stato molto più comodo e
rassicurante per lei, frutto acerbo di montagna mai maturato.

Laura veniva da un mondo a parte e viveva una vita sospesa.
I suoi silenzi ostentati e ostinati avevano creato sin dal primo
giorno di scuola un solco insormontabile tra noi, ragazzini
spaesati della 1^ elementare, pieni di voglia di vivere, e lei, brutto
anatroccolo tonto e muto che, non potendo scegliere, si rassegnò
a sopravvivere. I suoi compagni di ventura “montanari” invece
erano tutto il contrario, forse perché avevano qualcosa da portare
alla causa: Bruno era grande, grosso e buono, il difensore e
protettore di tutti noi. Era il nostro Garrone da libro Cuore.
Cioli era amico di Bruno, e solo per questo sapevi di portargli
rispetto. Di nome faceva Giorgio e, seppur anch’esso mostrasse
il disagio e la ristrettezza di essere tolto dagli allevamenti di polli
e di bestiame, aveva conquistato tutti noi “cittadini di lago” con
le prime primavere vissute in gruppo sui prati di San Martino,
nelle stalle e nei pollai, nelle merende fatte di pane, b***o e
zucchero, con qualche fetta di salame e un bicchiere di vino per
la maestra Bonardi e suo marito Franco.
Stessa dote avevano portato l’amico Mauro “Gallo”, con le memorabili pasquette alla sua cascina dei “Curtei”, a due passi dal “Bersai” e dalla “Val dei Precc” e Martinelli, che alla Rocca, oltre al Licinsì, poteva offrirci divertimento e una veduta sul lago incomparabile.

Laura invece non aveva nulla da portare. Era solo un sacco di
juta vuoto, speranzoso di essere riempito di conoscenza, di
vocali, consonanti, aggettivi, tabelline, addizioni, sottrazioni,
moltiplicazioni e le temibili divisioni.
Ma la sua mente era una barca che faceva acqua da tutte le parti, e sapeva che quella speranza sarebbe risultata vana. Erano i primi anni ’70, la maestra era una sola, per noi l’indimenticabile Velia Bonardi. L’insegnante di sostegno era un concetto ancora lontanissimo. Nelle classi non c’erano divisioni, si stava tutti insieme, ognuno con i suoi quaderni, a righe e a quadretti, con l’astuccio, l’antologia e il sussidiario. Ma le divisioni c’erano eccome, a volte non volontarie, spesso volute. Si percepivano nelle ricreazioni in cui Laura se ne stava sola con se stessa, seduta sul muretto appena fuori dall’entrata. Qualche volta prendeva coraggio e provava ad aggregarsi alle compagnie sparse nel cortile, ma il suo era un incerto accodarsi e rincorrere i continui spostamenti spensierati delle “compagne” di classe.

Penso che Laura sia stata la prima persona che ha fatto
avvertire in me quel pugno nello stomaco e quella tristezza nel
cuore a significare compassione, pietà, commiserazione, ma
mai pena. Io pena non l’ho mai provata per nessuno, ad
eccezione di qualche politico dei giorni nostri. Sì, penso sia
stata proprio Laura a farmi fiorire nel cuore il primo seme di
sensibilità, che da quel momento non mi ha più lasciato, come
uno zaino fissato sulle spalle che negli anni è andato sempre più
riempiendosi fino a diventare dolore quasi insopportabile.
La osservavo impotente nella sua solitudine, nel suo arrossire
ogni qual volta doveva rispondere alla maestra, con la sua voce
flebile che trasudava insicurezza e disagio.
Quanto avrei voluto sentirla almeno una volta recitare tutta d’un fiato la “Candida luna” del Guicciardini, e quanto avrei voluto vederla riempire di pagine scritte il tema “La mia famiglia” o “Le mie vacanze”. Non è mai successo.

Per lei la campanella delle 12.30 era una liberazione, una sorta
di lasciapassare per tornare lassù, dietro la collina, nel suo mondo
di sotto, dove per sentirsi vivi non servivano i pizzichi. Solo lì
ritrovava la parola. Chissà di cosa parlavano, Laura e si suoi
genitori, nelle sere in famiglia, intorno a un tavolo adornato di
umile companatico, quando il giorno era prossimo a spegnersi.

“Nessuno sa di me, nessuno mi capisce. Nessuno vede l’amore
in me, nemmeno lo intuisce” - e giù nuvole gonfie di pianto, col
padre impotente, la madre sconsolata, e i fratelli troppo piccoli
per capire cose che neppure i grandi erano in grado di comprendere.

Oggi, cinquant’anni dopo, non so come mai e neppure il perché,
sono qui a chiedermi che fine avrà fatto Laura, quale sarà stato
il suo destino. Nel suo viale dei persi avrà trovato un compagno
da amare e che l’avrà fatta sentire per la prima volta amata e
considerata? Avrà avuto dei figli? Sarà ancora in vita?
Mi piace pensare che, nella imprevedibilità e infinita bellezza
della vita, oltre ad essere riuscita un giorno a recitare “La luna
candida” del Guicciardini tutta d’un fiato, sia diventata lei
stessa una poetessa, oppure una scrittrice dispensatrice di
meraviglia, di scintille, di uguaglianza e di solidarietà.

Oggi, con colpevole ritardo, quel bambino che allora aveva sei
anni, è qui a considerare che per lei e per ognuno dei frutti
dimenticati come lei, ci sarebbe voluto un Dio, un Santo o più
semplicemente un uomo che sapeva stare sopra tutti i sentimenti.
Ci sarebbe voluto e ci vorrebbe ancora oggi, forse più di ieri.
Un benevolo protettore, che ai primi segnali di paura e al primo
apparire di quelle nuvole gonfie di pianto e solitudine, si manifesti
discreto e silenzioso, di notte, quando anche la mente dei soli,
dei deboli, degli incompresi e degli emarginati, si apre desueta
e inconscia in cerca di aiuto, per dire:

“Basta. Lascia che ti annusi in questo batticuore, lascia che ti
indichi la via maestra e ti faccia da spalle larghe in questa terra
di pecore e di lupi. Basta vagare per campi in cerca di un
quadrifoglio, basta passare la sera da sola a cercare la luna.
La gente saprà di te. La gente finalmente riuscirà a capirti.
Anche tu conoscerai l’amore, e t’innamorerai.
Giovane compagna che vivevi addormentata, da questo momento farò in modo che tu sia un’anima fiera. Ti condurrò fino al punto in cui il mondo scollina ed inizia la discesa, ti accompagnerò fin quando non ti vedrò sicura nel tuo andare. E se un giorno avrai ancora bisogno di un aiuto, ti prego... mandami a dire”.

Dedicato ai soli, ai deboli, agli incompresi, agli emarginati.

da L'ORTO DEI FRUTTI DIMENTICATI - di Gianluca Serioli

Indirizzo

Via Mier TraVia 2 28
Iseo
25049

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