31/10/2024
Gesù Spiega la Lezione sull'Occultismo e i suoi pericoli e come Liberarsi dal male. A Endor. La spelonca della maga e l'incontro con Felice chiamato poi Giovanni.
Maria Valtorta - Evangelo 188 13 giugno 1945.
188.1 Il Thabor è ora alle spalle dei camminatori. Già superato. Per una pianura chiusa fra questo monte ed un altro che è in faccia, il gruppo cammina, parlando dell’ascensione fatta da tutti, per quanto sembra che in principio i più anziani se ne volessero risparmiare. Ma ora sono contenti di essere andati là in cima.
Il cammino è facile perché si è su una via maestra abbastanza comoda. L’ora è fresca perché ho l’impressione che abbiano pernottato sulle pendici del Tabor.
«Quello è Endor», dice Gesù accennando un povero paese aggrappato alle prime elevazioni di quest’altro gruppo montano. «Ci vuoi proprio andare?».
«Se mi vuoi fare contento…», risponde l’Iscariota.
«E andiamo allora».
«Ma ci sarà molto da camminare?», chiede Bartolomeo che per l’età non deve essere molto voglioso di escursioni panoramiche.
«Oh! no! Ma se volete rimanere…», dice Gesù.
«Sì, sì! Rimanete pure. Mi basta andare col Maestro», si affretta a dire Giuda di Keriot.
«Ecco, io vorrei sapere cosa c’è di bello da vedere, prima di decidere… In cima al Tabor abbiamo visto il mare, e dopo il discorso del ragazzo devo confessare che l’ho visto per bene per la prima volta e l’ho visto come vedi Tu: col cuore. Qui… vorrei sapere se c’è da imparare qualche cosa, e allora vengo anche se devo fare fatica…», dice Pietro.
«Li senti? Tu non hai ancora detto le tue intenzioni. Per gentilezza verso i compagni, dille ora», invita Gesù.
«Non è a Endor che Saul volle andare per consultare la pitonessa?».
«Sì. Ebbene?».
«Ebbene, Maestro, mi piacerebbe andare in quel luogo e sentire da Te parlare di Saul».
«Oh! allora ci vengo anche io!», esclama Pietro entusiasta.
«E allora andiamo».
Fanno a passo svelto l’ultimo tratto di via maestra e poi la lasciano per una via secondaria che porta diritta a Endor.
188.2 È un povero luogo, come ha detto Gesù. Le case sono abbarbicate alle pendici che dopo, oltre il paese, si fanno più aspre. Povera gente le abita. Per lo più i cittadini devono esercitare la pastorizia su per i pascoli del monte e fra i boschi di querce secolari. Pochi campicelli di orzo, o simile biada, nei ritagli propizi, e delle piante di melo e di fico. Poche viti intorno alle case, a fare un poco di decorazione sulle muraglie, oscure come questo fosse un posto piuttosto umido.
«Ora domanderemo dove era il luogo della maga», dice Gesù. E ferma una donna che torna con le anfore dalla fontana.
Questa lo guarda curiosamente, poi risponde sgarbata:
«Non so. Ho ben altre cose, più importanti, io, di queste fole!», e lo pianta in asso.
Gesù si rivolge ad un vecchietto che intaglia un pezzo di legno.
«La maga?… Saul?… E chi se ne occupa più? Però, aspetta… C’è uno che ha studiato e forse saprà… Vieni».
E il vecchietto arranca su per una vietta sassosa fino ad una casa molto misera e molto sciatta. «Sta qui. Ora entro e lo chiamo».
Pietro, accennando a del pollame che razzola in un cortiletto sudicio, dice: «Questo uomo non è israelita». Ma non dice altro, perché torna il vecchietto seguito da un uomo guercio, sporco e disordinato, come tutto quanto è della sua casa.
Il vecchietto dice: «Vedi? Quest’uomo dice che è là, oltre quella casa diroccata. Un sentiero, poi un ruscello, poi un bosco e delle caverne; la più alta, quella che mostra ancora delle mura diroccate sul suo fianco, è quella che cerchi. Non hai detto così?».
«No. Hai tutto confuso. Andrò io con questi stranieri». L’uomo ha una voce aspra e gutturale, il che aumenta il senso di disagio.
188.3 Si incammina. Pietro, Filippo e Tommaso fanno segni su segni a Gesù perché non vada. Ma Gesù non dà retta. Cammina con Giuda, dietro all’uomo, e gli altri lo seguono… di malavoglia.
«Sei israelita?», chiede l’uomo.
«Sì».
«Io pure, o quasi, benché non sembri. Ma sono stato molto tempo in altri paesi e ho preso abitudini che questi stolti deplorano. Sono meglio degli altri. Ma mi dicono demonio perché leggo molto, allevo pollame che vendo ai romani e so curare con le erbe. Da giovane, per una donna, mi presi con un romano – allora stavo a Cintio – e lo pugnalai. Lui morì, io vi persi l’occhio e le sostanze e fui condannato all’ergastolo per molti anni… per sempre. Ma sapevo curare, e guarii la figlia di un guardiano. Ciò mi valse la sua amicizia, e un poco di libertà… L’ho usata per fuggire. Ho fatto male, perché l’uomo certo scontò la mia fuga con la vita. Ma la libertà sembra bella quando si è prigionieri…».
«E non è bella, poi?».
«No. È meglio la carcere, dove si è soli, al contatto cogli uomini che non concedono di esser soli e che ci stanno intorno per odiarci…».
«Hai studiato i filosofi?».
«Ero maestro a Cintium… Ero proselite…».
«E ora?».
«E ora sono nulla. Vivo nella realtà. E odio, come fui e come sono odiato».
«Chi ti odia?».
«Tutti. E Dio per il primo. Era mia moglie… e Dio ha permesso mi tradisse e mi rovinasse. Ero libero e rispettato, e Dio ha permesso divenissi un ergastolano. L’abbandono di Dio, l’ingiustizia degli uomini. Ho annullato Quello e questi. Qui non c’è più niente…», e si batte sulla fronte e sul petto. «Cioè, qui, nella testa, c’è il pensiero, il sapere. Qui è che non c’è nulla», e sputa con sprezzo.
«Ti sbagli. Lì hai ancora due cose».
«Quali?».
«Il ricordo e l’odio. Levale.
188.4 Sii veramente vuoto… ed Io ti darò una cosa nuova da mettere lì».
«Che cosa?».
«L’amore».
«Ah! Ah! Ah! Mi fai ridere! Sono trentacinque anni che non ridevo più, uomo. Da quando ebbi la prova che la femmina mi tradiva col mercante di vini romano. L’amore! L’amore a me! Come se io gettassi gioielli ai miei polli! Morirebbero di indigestione se non riuscissero a passarli nello sterco. Lo stesso a me. Mi farebbe peso il tuo amore se non lo potessi digerire…».
«No, uomo! Non dire così!». Gesù gli posa la mano sulla spalla, veramente e palesemente afflitto.
L’uomo lo guarda col suo unico occhio, e quel che vede in quel viso dolce e bellissimo lo fa ammutolire e cambiare espressione. Dal sarcasmo passa ad una serietà profonda, da questa ad una vera mestizia. China il capo e poi chiede con voce mutata: «Chi sei?».
«Gesù di Nazaret. Il Messia».
«Tu!!!».
«Io. Non sapevi di Me, tu che leggi?».
«Sapevo… Ma non che eri vivo e non… oh! soprattutto questo non sapevo! Non sapevo che eri buono con tutti… così… anche con gli assassini… Perdona quanto ti ho detto… di Dio e dell’amore… Ora capisco perché Tu vuoi darmi l’amore… Perché senza l’amore il mondo è un inferno, e Tu, Messia, ne vuoi fare un paradiso».
«Un paradiso in ogni cuore. Dàmmi il ricordo e l’odio che ti tengono malato e lascia che Io ti metta in cuore l’amore!».
«Oh! se ti avessi conosciuto prima!… allora… Ma quando io uccidevo Tu non eri certo nato… Ma dopo… dopo… quando, libero come è libero il serpente nelle foreste, io vissi per avvelenare col mio odio».
«Ma hai fatto anche del bene. Non hai detto che curavi con le erbe?».
«Sì. Per essere tollerato. Ma quante volte ho lottato con la voglia di avvelenare coi filtri!… Vedi? Mi sono rifugiato qui perché… è un paese dove si ignora il mondo e che il mondo ignora. Un paese maledetto. Altrove ero odiato e odiavo e avevo paura di essere riconosciuto… Ma cattivo sono».
«Hai un rimpianto per avere causato del male al guardiano della prigione. Vedi che ancora sei munito di bontà? Non sei malvagio… Sei solo con una grande ferita aperta, e nessuno te la medica… La tua bontà fugge da essa come il sangue dalle ferite. Ma se ci fosse chi ti cura e chiude la tua ferita, povero fratello, la tua bontà, non più sfuggente man mano che si forma, crescerebbe in te…».
L’uomo piange a capo chino, senza che nulla tradisca quel pianto. Solo Gesù, che gli cammina al fianco, lo vede. Sì, lo vede. Ma non dice più altro.
188.5 Arrivano ad una spelonca che è fatta di macerie crollate e di caverne nel monte. L’uomo cerca di fare ferma la voce e dice: «Ecco, è qui. Entra pure».
«Grazie, amico. Sii buono».
L’uomo non dice nulla e resta dove è, mentre Gesù coi suoi, superando pietroni che certo erano pezzi di muraglie ben robuste, disturbando ramarri e altre brutte bestie, entrano in una vasta grotta affumicata sulle cui pareti, graffiti nel masso, sono ancora segni dello zodiaco e simili storie. In un angolo affumicato vi è una nicchia e, sotto, un buco come fosse un tombino per lo scolo di liquidi. I pipistrelli decorano il soffitto dei loro grappoli che fanno ribrezzo, e un gufo, disturbato dalla luce di un ramo che Giacomo ha acceso per vedere se calpestano scorpioni o aspidi, si lamenta sbattendo le ali ovattate e stringendo gli occhiacci feriti dalla luce. È proprio appollaiato nella nicchia, e un fetore di topi morti, di donnole, di uccelli in putrefazione fra i suoi piedi, si mescola all’odore dello sterco e del suolo umido.
«Un bel posto in verità!», dice Pietro. «Era meglio il tuo Tabor e il mare, ragazzo!». E poi, volgendosi a Gesù: «Maestro, accontenta presto Giuda perché qui… non è certo la sala regale di Antipa!».
«Subito. Che vuoi sapere di preciso?», chiede a Giuda di Keriot.
«Ecco… Vorrei sapere se e perché Saul ha peccato venendo qui… Vorrei sapere se è possibile che una donna possa evocare i morti. Vorrei sapere se… Oh! insomma, parla Tu. Io ti farò domande».
«Affare lungo! Andiamo almeno lì fuori, al sole, sui massi… Ci salveremo dall’umido e dal fetore», prega Pietro.
E Gesù acconsente. Si siedono come possono sulle muraglie crollate.
«Il peccato di Saul non è stato che uno dei peccati dello stesso. Fu preceduto e seguito da molti altri. Tutti gravi. Ingratitudine duplice verso Samuele che lo unge re e che si eclissa poi per non dividere col re l’ammirazione del popolo. Ingrato più volte verso Davide che lo libera da Golia, che lo risparmia nella caverna di Engaddi e ad Achila. Colpevole di multiple disubbidienze e di scandalo nel popolo. Colpevole di avere addolorato Samuele suo benefattore mancando alla ca**tà. Colpevole di gelosia e di attentati verso Davide, altro suo benefattore, e infine del delitto commesso qui».
«Contro chi? Non vi ha ucciso nessuno».
«La sua anima ha ucciso, ha finito di uccidere, qui dentro.
188.6 Perché abbassi il capo?».
«Penso, Maestro».
«Pensi. Lo vedo. Che pensi? Perché sei voluto ve**re? Non per pura curiosità di studioso, confessalo».
«Sempre si sente parlare di maghi, di negromanzie, di spiriti evocati… Volevo vedere se scoprivo qualcosa… Mi piacerebbe sapere come avviene… Penso che noi, destinati a stupire per attirare, dovremmo essere un poco negromanti. Tu sei Tu e fai col tuo potere. Ma noi dobbiamo chiederlo un potere, un aiuto, per fare opere strane, che si impongano…».
«Oh! ma sei f***e? Ma che dici?», urlano in molti.
«Tacete. Lasciatelo parlare. Non è follia la sua».
«Sì, insomma mi pareva che, venendo qui, qualche poco della magia di un tempo potesse entrare in me e farmi più grande. Per l’interesse tuo, credilo».
«So che sei sincero in questo tuo desiderio attuale. Ma ti rispondo con parole eterne, perché sono del Libro, e il Libro sarà finché sarà l’uomo. Creduto o schernito, impugnato in nome della Verità o deriso, sarà, sempre sarà.
È detto: “Ed Eva, visto che il frutto dell’albero era buono a mangiarsi e bello a vedersi, lo colse e ne mangiò e ne diede al marito… E allora i loro occhi si apersero e si accorsero di essere nudi e si fecero delle cinture… E Dio disse: ‘Come vi siete accorti di essere nudi? Solo per avere mangiato il frutto proibito’. E li cacciò dal paradiso di delizie”. E nel libro di Saul è detto: “Disse Samuele apparendo: ‘Perché mi hai disturbato col farmi evocare? Perché interrogarmi dopo che il Signore si è ritirato da te? Il Signore ti tratterà come ti ho detto… perché tu non hai ubbidito alla voce del Signore’”.
Figlio, non tendere la mano al frutto proibito. Anche solo accostarlo è imprudenza. Non avere curiosità di conoscere l’ultraterreno per tema che non ti se ne apprenda il satanico veleno. Fuggi l’occulto e ciò che non si spiega. Una sola cosa va accolta con santa fede: Dio. Ma ciò che Dio non è, e che non è spiegabile con le forze della ragione e creabile con le forze dell’uomo, fuggilo, fuggilo, ché non ti si aprano le fonti della malizia e tu non comprenda di essere “nudo”. N**o: repellente nella umanità mista al satanismo. Perché vuoi stupire con prodigi oscuri? Stupisci con la tua santità, e sia luminosa come cosa che viene da Dio. Non avere desiderio di lacerare i veli che separano i viventi dai trapassati. Non disturbare i defunti. Ascoltali, se saggi, finché sono sulla Terra, venerali con l’ubbidirli anche dopo la morte. Ma non turbare la loro seconda vita. Chi non ubbidisce alla voce del Signore perde il Signore. E il Signore ha proibito l’occultismo, la negromanzia, il satanismo in tutte le sue forme. Che vuoi sapere più di quanto la Parola non ti dica già? Che vuoi operare più di quanto la tua bontà e il mio potere ti concedono di operare? Non appetire al peccato, ma alla santità, figlio.
Non ti mortificare. Mi piace che tu ti sveli nella tua umanità. Quello che piace a te piace a molti, a troppi. Solo, il fine che tu metti a questo tuo desiderio: “essere potente per attirare a Me”, leva a quest’umanità molto peso e vi mette ali. Ma sono di uc***lo notturno. No, mio Giuda. Mettivi ali solari, ali d’angelo al tuo spirito. Col solo vento di esse attirerai cuori e li trasporterai, nella tua scia, a Dio. Possiamo andare?».
«Sì, Maestro! Ho sbagliato…».
«No. Sei stato un indagatore… Il mondo ne sarà sempre pieno. Vieni, vieni. Usciamo da questo luogo di puzzo. Incontro al sole andiamo! Fra pochi giorni è Pasqua, e dopo andremo da tua madre. Io ti evoco quella: la tua casa onesta, la tua madre santa. Oh! che pace!».
Come sempre, il ricordo della madre, la lode del Maestro alla madre, rasserena Giuda.
188.7 Escono dalle rovine e cominciano a scendere per il sentiero fatto prima. L’uomo guercio è ancora lì.
«Qui ancora?», chiede Gesù mostrando di non vedere il viso rosso per il molto pianto versato.
«Qui. Se mi permetti ti seguo. Ho da dirti una cosa…».
«Vieni dunque con Me. Che vuoi dirmi?».
«Gesù… Io trovo che per avere forza di parlare, e di fare la magia santa di cambiare me stesso, di evocare la mia anima morta come la maga evocò, per Saulle, Samuele, devo dire il tuo Nome, dolce come il tuo sguardo, santo come la tua voce. Tu mi hai dato una nuova vita ed essa è informe, incapace come quella di un neonato mal generato. Si dibatte ancora fra le strette di una scorza malvagia. Aiutami ad uscire dalla mia morte».
«Sì, amico».
«Io… io ho conosciuto di avere ancora un poco di umanità nel mio cuore. Non tutto belva sono, e posso ancora amare ed essere amato, perdonare ed essere perdonato. Il tuo amore, il tuo amore che è perdono, me lo insegna. Non è vero che è così?».
«Sì, amico».
«Allora… portami con Te. Io ero Felice! Ironia! Ma Tu dàmmi un nuovo nome. Che il passato sia realmente morto. Ti seguirò come un cane randagio che finalmente trova un padrone.
Sarò il tuo schiavo se vuoi. Ma non lasciarmi solo…».
«Sì, amico».
«Che nome mi dai?».
«Un nome a Me caro: Giovanni. Poiché tu sei la grazia che fa il Signore».
«Mi prendi con Te?».
«Per ora sì. Poi mi seguirai fra i discepoli. Ma la tua casa?».
«Non ho più casa. Lascerò ai poveri quanto ho. Dàmmi solo amore e un pane».
«Vieni». E Gesù si volge chiamando gli apostoli. «Amici, e specie tu, Giuda, abbiate il mio grazie. Per te, per voi un’anima viene a Dio. Ecco il nuovo discepolo. Viene con noi finché non potremo affidarlo ai fratelli discepoli. Siate felici di avere trovato un cuore e benedite con Me Iddio».
Molto felici veramente non sembrano i dodici. Ma fanno buon viso per ubbidienza e cortesia.
«Se permetti vado avanti. Mi troverai sulla soglia di casa».
«Va’ pure».
L’uomo parte di corsa. Pare un altro.
«Ed ora che siamo soli vi ordino, questo lo ordino, di essere buoni con lui e di tacere il suo passato a chicchessia. Chi parlasse, o chi mancasse verso la ca**tà al fratello redento, verrebbe all’istante respinto da Me. Avete inteso? E vedete quanto è buono il Signore! Venuti qui per fine umano, ci concede di ripartirne avendo ottenuto un fatto soprannaturale. Oh! Io giubilo per la gioia che ora è nel Cielo per il nuovo convertito».
188.8 Giungono davanti alla casa. Sulla soglia, con una veste scura e pulita, un mantello uguale, un paio di sandali nuovi e una capace sacca sulle spalle, è l’uomo. Chiude l’uscio e poi, strano in un uomo che si potrebbe pensare insensibile, prende una gallinella bianca, forse la prediletta, che si accoccola domestica sulle sue mani, e la bacia e piange, e poi la posa.
«Andiamo… e perdona. Ma essi, i miei polli, mi hanno amato… Parlavo con loro e… mi capivano…».
«Ti capisco anche Io… e ti amo. Tanto. Ti darò tutto l’amore che in trentacinque anni il mondo ti ha negato…».
«Oh! lo so! Lo sento! Per questo vengo. Ma compatisci l’uomo che… che ama un animale che… che… che gli è stato più fedele dell’uomo…».
«Sì… sì. Non pensare più al passato. Avrai tanto da fare! E con la tua esperienza farai tanto bene. Simone, vieni qui, e tu, Matteo. Vedi? Questo fu più che prigioniero, e lebbroso fu. Questo fu peccatore. Ed Io li ho cari perché sanno capire i poveri cuori… Non è vero?».
«Per bontà tua, Signore. Ma certo, credi, amico, che tutto si annulla nel servirlo. Resta solo la pace», dice lo Zelote.
«Sì. La pace e una giovinezza nuova succede dove era vecchiezza di vizio o di odio. Io ero pubblicano. Ma ora sono l’apostolo. Abbiamo davanti il mondo. E noi siamo istruiti circa esso. Non siamo i fanciulli svagati che passano presso il frutto nocivo e la pianta che piega e non vedono la realtà. Noi sappiamo. Possiamo evitare il male e insegnare ad altri ad evitarlo. E sappiamo raddrizzare chi piega. Perché sappiamo come è di sollievo essere sorretti. E sappiamo chi sorregge: Lui», dice Matteo.
«È vero! È vero! Mi aiuterete. Grazie. È come io passassi da un luogo oscuro e fetido all’aperto di un prato fiorito… Ho provato qualcosa di simile quando sono uscito, libero, finalmente libero, dopo venti anni di ergastolo e di lavoro brutale nelle miniere dell’Anatolia, e mi sono trovato – ero fuggito in una sera burrascosa – in cima ad un monte aspro, ma aperto, ma pieno di sole per l’aurora e coperto di boschi odorosi… La libertà! Ma ora è di più! Tutto in me si dilata! Non avevo più catene da quindici anni. Ma l’odio, ma la paura, ma la solitudine mi erano sempre catene… Ora sono cadute!…
188.9 Eccoci alla casa del vecchio che vi ha portati a me. Uomo! Uomo!».
Il vecchietto accorre e resta di stucco vedendo che il guercio è pulito, in veste da viaggio, e con un viso sorridente.
«Tieni. Questa è la chiave della mia casa. Io vado via, per sempre. Ti sono grato perché tu sei il mio benefattore. Mi hai reso la famiglia. Fa’ del mio tutto quello che vuoi… e cura i miei polli. Non li maltrattare. Ogni sabato viene un romano e compera le uova… Ti daranno dell’utile… Trattale bene le mie gallinelle… e Dio te ne rimuneri».
Il vecchietto è trasecolato… Prende la chiave e resta a bocca aperta.
Gesù dice: «Sì, fa’ come egli dice, e Io pure te ne sarò grato.
In nome di Gesù ti benedico».
«Il Nazareno! Sei Tu! Misericordia! Ho parlato col Signore!
Donne! Donne! Uomini! Il Messia è fra noi!». Strilla come un’aquila e corrono persone da ogni parte.
«Benedici! Benedici!», gridano. E altri: «Resta!»; e altri:
«Dove vai? Almeno di’ dove vai».
«A Naim. Restare non posso».
«Ti seguiamo! Lo vuoi?».
«Venite. E a chi resta pace e benedizione».
Si avviano verso la via maestra. La prendono.
188.10 L’uomo, che cammina vicino a Gesù e che fatica sotto la sua sacca, attira la curiosità di Pietro. «Ma che hai lì dentro di tanto pesante?», chiede.
«Le vesti… e dei libri… I miei amici dopo e con i polli. Non ho potuto separarmi. E pesano».
«Eh! la scienza pesa! Già! E a chi piace, eh?».
«Mi hanno impedito di impazzire».
«Eh! ci devi volere bene! Ma, che libri sono?».
«Filosofia, storia, poesia greca, romana…».
«Belli, belli. Certo belli. Ma… pensi poterteli portare dietro?».
«Forse riuscirò anche a separarmene. Ma tutto insieme non si può fare, non è vero, Messia?».
«Chiamami Maestro. Sì, non si può. Ma ti farò avere un luogo dove potrai dare un ricovero ai tuoi amici, i libri. Ti potranno servire per discutere con i pagani di Dio».
«Oh! come hai netto il pensiero da ogni restrizione!».
Gesù sorride e Pietro esclama: «Sfido io! È la Sapienza, Lui!».
«È la Bontà, credilo. E tu sei colto?».
«Io? Oh! coltissimo! Distinguo un agone da una carpa, e la mia coltura resta lì. Sono pescatore, amico!», e Pietro ride, umile e schietto.
«Sei un onesto. È una scienza che si impara da sé. Ed è molto difficile ad aversi. Mi piaci».
«Anche tu mi piaci. Perché sei schietto. Anche nell’accusarti. Io perdono tutto, aiuto tutti. Ma sono nemico spietato dei falsi. Mi fanno ribrezzo».
«Hai ragione. Il falso è un delinquente».
«Un delinquente. Lo hai detto. Di’, non ti fidi a darmi un poco la tua sacca? Tanto, sta’ certo, coi libri non scappo… Mi pare che fai fatica…».
«Venti anni di miniera spezzano… Ma perché vuoi faticare tu?».
«Perché il Maestro ci ha insegnato ad amarci come fratelli. Da’ qui. E prendi i miei stracci. È leggera la mia… Non ci sono storie, né poesie. La mia storia, la mia poesia e quell’altra cosa che hai detto, è Lui, il mio Gesù, il nostro Gesù».