14/09/2024
Storie verosimili della città di Napoli n. 89: Le mille modalità di stendere i panni a Napoli
Passo spesso per Vico Vicaria, uno dei vicoletti più stretti della città di Napoli. Pur essendo un vicolo che sembra girare su se stesso, schiacciato tra abitazioni ed edifici monumentali del vecchio quartiere della Vicaria, racchiude in sé mille storie.
Tra le tante, una in particolare mi è sempre rimasta impressa: quella che mi raccontava il professor Arturo Migliaccio, un anziano docente di filosofia e storia dell’arte, che ha insegnato per anni al liceo "Genovesi", storica scuola ancora in attività in Piazza del Gesù Nuovo.
Lo conobbi una calda estate, mentre cercavo una delle tante famiglie del vicolo da ascoltare, a cui portare un saluto. Proprio qui, in Vico Vicaria, ancora oggi è possibile fermarsi e ammirare uno spettacolo unico e intramontabile che solo Napoli sa offrire: quello dei “panni stesi” ad asciugarsi.
Se oggi riesco a riconoscere il carattere di una persona solo osservando il modo in cui stende i panni, lo devo al professor Migliaccio.
Fu proprio lui, un vero cultore e attento osservatore, a farmi notare le tante modalità con cui ognuno di noi stende i propri panni. Diceva che era in grado di comprendere lo stato d’animo di una persona solo guardando il modo in cui stendeva un capo, e di indovinare l’età di qualcuno osservando l'alternanza e la distanza tra un capo e un altro.
Con lui ho imparato a riconoscere i panni della signora Gilda Ferraro, una delle sue vicine e una delle prime donne commercialiste di Napoli, oggi quasi novantenne. Lei appendeva i vestiti dividendo a metà ogni indumento sul filo, con uno dei tanti metodi, studiato per evitare che il vento li portasse via, riducendo al contempo la superficie esposta all’aria, ma rallentando così il processo di asciugatura.
Diverso è il modo della signora Russo, che stende ancora oggi i panni agganciando ogni capo alle estremità con mollette. Questo metodo espone maggiormente i vestiti al vento, accelerando l'asciugatura ma rischiando che qualche indumento possa volare via.
Ricordo anche i panni del signor Gennaro Castropietro, un vecchio amico del professor Migliaccio. Mai sposato, rimase scapolo per prendersi cura della sua anziana madre. I suoi vestiti erano spesso appesi in modo obliquo, pendenti da un lato, come a simboleggiare una mancanza, un vuoto che ognuno di noi può sentire.
Per anni abbiamo trascorso ore a studiare ogni indumento, perché stendere i panni, qui a Napoli, non è solo una necessità: è una vera e propria consuetudine, a cui si dedicano tempo, metodo e attenzione, rispecchiando il carattere di ognuno di noi.
Da qualche anno, il professor Migliaccio ci ha lasciati, ma ogni volta che vedo i panni stesi mi fermo a osservare le decine di modalità diverse con cui vengono tenuti fermi sui fili. Ogni filo racconta una storia, rivela un pezzo di vita delle nostre famiglie.
Anche questa è Napoli: dove nulla è scontato e dove ogni nostra azione racconta una storia, unica e irripetibile.
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Luoghi e nomi diversi, ma intrecciati in personaggi e storie della città di , realmente vissute ed esistenti.
Foto di Velia Cammarano
Le mie storie pubblicate sul web (non nel libro) sono raccolte qui: https://www.lucisunapoli.it/blog
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