Lorenzo Greco Floricoltura

Lorenzo Greco Floricoltura Azienda agricola di produzione di piante fiorite in vaso
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23/01/2023
11/01/2023

Da: "INFLUENZA DELL’AMBIENTE URBANO SULLA FISIOLOGIA E LA CRESCITA DEGLI ALBERI" di Alessio Fini e Francesco Ferrini
Review n. 1 – Italus Hortus 14 (1), 2007: 9-24.
(ARTICOLO COMPLETO SCARICABILE DAhttp://www.italushortus.it/phocadownload/review/review_5/02.fini.pdf
PAROLE CHIAVE: arboricoltura urbana, compattazione del suolo, stress idrico temperatura, fotosintesi
Il problema della gestione delle aree verdi urbane deve essere inquadrato nella prospettiva di combinare risultati soddisfacenti sotto il profilo tecnico ed economico, nel rispetto delle attività umane e dell’ambiente. L’ambiente urbano differisce notevolmente da quello agricolo o naturale, di conseguenza risulta non sempre possibile trasferirvi le conoscenze acquisite dalla ricerca scientifica in ambito, per esempio, frutticolo o forestale. D’altra parte, le conoscenze per costruire impianti urbani gestibili con moderne tecniche colturali, che consentano un’elevata crescita delle piante e un’efficiente difesa sanitaria, sono piuttosto carenti e, per alcuni aspetti, addirittura mancanti. É inoltre doveroso sottolineare come dall’esame della letteratura emergano alcune incoerenze nei risultati, che a volte appaiono contraddittori, probabilmente a causa della disomogeneità dell’ambiente urbano.

Sono molte, infatti, le pressioni che questo esercita sulla forme di vita vegetali, pressioni che si traducono generalmente in stress fisiologici, nell’abbattimento degli scambi gassosi ed in turbe metaboliche che condizionano negativamente l’accrescimento e la sopravvivenza delle essenze vegetali.
La riduzione di tali stress può sicuramente essere conseguita applicando su larga scala alcuni criteri agronomici conclamati dalla letteratura scientifica, ma spesso ignorati per ragioni di costo, quali per esempio il corretto dimensionamento della buca d’impianto, l’utilizzo di tappezzanti per ridurre la compattazione del suolo e l’irrigazione, almeno nei due o tre anni successivi alla messa a dimora. Va sottolineato che il costo di questi semplici accorgimenti è di gran lunga inferiore al costo di sostituzione degli alberi morti per la mancata applicazione, nella pratica, di conoscenze note.

Di grande importanza è anche l’ampliamento delle conoscenze riguardanti la selezione di specie sito-specifiche, adatte cioè a vivere nei diversi microclimi riscontrabili in ambiente urbano. A questo proposito sembra imprescindibile la creazione di campi speri- mentali per testare e confrontare il comportamento delle diverse specie vegetali e la loro adattabilità alle differenti situazioni urbane. La sperimentazione di tecnologie innovative, capaci di migliorare la tolleranza agli stress e l’assorbimento dei nutrienti, quali per esempio inoculi micorrizici specificamente selezionati, sembra un’ulteriore via per incrementare il vigore, lo stato di salute e la vita media degli impianti urbani.

01/01/2023

𝗖𝗹𝗶𝗺𝗶 𝗺𝗲𝗱𝗶𝘁𝗲𝗿𝗿𝗮𝗻𝗲𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗧𝗲𝗿𝗿𝗮
La maggior parte dei giardinieri ignora che la flora è molto più ricca nelle regioni a clima mediterraneo che in quelle a clima temperato. I botanici hanno descritto oltre 75.000 specie di piante che in natura sono sottoposte a un regime di siccità estiva.
Queste piante provengono dalle regioni a clima mediterraneo (in viola sulla carta) e dalle zone adiacenti che comprendono montagne, steppe aride e frange di deserti (da H.N. Le Houérou, The Isoclimatic Mediterranean Biomes).
Numerose sono le specie coltivate nelle aree verdi (parchi e giardini) del Salento che provengono da una di queste aree del pianeta, come le acacie, i pelargoni, i Callistemon, etc.
Prima di acquistare o di mettere a dimora una pianta, cercate sempre su internet la sua area geografica di provenienza; la scelta, per i nostri giardini, di specie provenienti da queste regioni è una garanzia per il successo della loro acclimatazione e coltivazione.

07/12/2022

Lo evidenzia una ricerca dell’università di Firenze: “Per sostenere l’ambiente e ridurre le emissioni di gas serra meglio alberi coltivati in terreni agricoli”

03/12/2022
31/10/2022

Per il professore Porcelli «la specie non è ancora invasiva in Italia, ma quanto successo Turchia suggerisce la massima attenzione»

14/09/2022

ALBERI E GESTIONE DELLE PRECIPITAZIONI - PRIMA PARTE: L'ACQUA DEVE ESSERE UNA RISORSA, NON UN PROBLEMA.
Ripropongo questa miniserie di articoli sulla gestione degli eccessi idrici in ambito urbano. Come si dice: repetita juvant, visto anche che ogniqualvolta arriva una perturbazione ormai dobbiamo preoccuparci per le conseguenze. L'acqua è vita, ma dobbiamo fare in modo da gestire gli eventi estremi nella maniera migliore possibile agendo preventivamente e in modo proattivo.

Per troppo tempo le città hanno trattato l'acqua come un rifiuto, come qualcosa da "allontanare" velocemente e la vastissima impermeabilizzazione del suolo ha impedito alle acque meteoriche di fare esattamente ciò di cui abbiamo più bisogno: rientrare nel suolo e rimpinguare le falde per ristabilire il naturale ciclo idrologico.

Ma proprio come costruire nuove autostrade non risolve la congestione del traffico, aumentare semplicemente la capacità dei tradizionali sistemi di acque piovane "grigie" si sta dimostrando finanziariamente, ed ecologicamente, insostenibile. E con un clima che cambia con il conseguente aumento della frequenza e intensità degli eventi meteorici con tempeste più frequenti e intense, così come accadrà per le ondate di calore e i periodi di siccità, la pressione per proteggersi dai rischi di inondazione, migliorare la qualità dell'acqua e costruire luoghi urbani più resilienti sta aumentando in modo e l'urgenza di questa sfida ci impone di fare scelte veloce volte a un uso migliore delle nostre risorse.

Sia la mobilità dei trasporti sia la gestione delle acque piovane sono radicate nello spazio fisico della strada. Un approccio a compartimenti stagni (siloed approach in Inglese) si traduce in priorità progettuali e tempistiche realizzative in conflitto. Le strade e i marciapiedi che disturbano l'idrologia naturale con una superficie impermeabile fatta di asfalto e cemento devono essere ripensate nell’ottica di utilizzare queste infrastrutture per una gestione sostenibile dell’acqua piovana.

Invece di competere per lo spazio stradale, il settore dei trasporti e delle infrastrutture e quello di gestione delle risorse idriche devono collaborare per valorizzare le acque piovane e integrarle nell'ecologia urbana.
I tempi sono maturi per ripensare il funzionamento delle strade nelle città non solo come corridoi della mobilità e spazi pubblici, ma come parte dell'ecosistema naturale.

Con la trasformazione delle aree urbane, l'invecchiamento delle infrastrutture e un clima che cambia, la gestione sostenibile delle acque piovane è una sfida fondamentale per le città resilienti.
Storicamente, le strade hanno formato uno strato impermeabile interrompendo i cicli idrologici e richiedendo costose infrastrutture per gestire il deflusso delle acque piovane e proteggere la qualità del suolo e delle acque superficiali. Dato che le città affrontano eventi meteorici con frequenza, durata e intensità crescenti, nonché condizioni di siccità più persistenti, è ora di chiedere di più alle nostre strade.

Le strade possono e devono essere l’anello che collega le piogge alla vita dell’ecosistema urbano. Pianificatori, ingegneri e designer lungimiranti stanno trattando le strade come parte del tessuto ecologico delle città, integrando nelle infrastrutture verdi con strade atte alla circolazione automobilistica accanto a infrastrutture per piste ciclopedonali. Pensando alle strade come ecosistemi, possiamo costruire città che sono luoghi più resilienti, sostenibili e divertenti da vivere.

Le città sono definite dall'acqua. I corsi d'acqua definiscono i confini e i confini della città, determinano la crescita e lo sviluppo e forniscono risorse essenziali per le popolazioni umane e l'ambiente costruito. Tuttavia, i modelli di sviluppo hanno troppo spesso rimosso l'acqua dai luoghi urbani, incanalando l'acqua piovana fuori dall'ambiente umano e limitando quindi le funzioni naturali dei servizi ecosistemici a grandi costi economici (pensiamo a quanti fiumi sono stati tombati o ai canali e navigli interrati).

In passato, le acque piovane sono state infatti trattate come rifiuti e la loro gestione ha finora comportato che defluissero il più rapidamente possibile dopo una pioggia. Questo approccio ha richiesto costose infrastrutture "grigie" costituite da tubature in cemento e metallo, grondaie, serbatoi e impianti di trattamento per convogliare il più rapidamente possibile l'acqua piovana nei corpi idrici locali, e non per trattenere e gestirla come risorsa. È questo il sistema delle infrastrutture grigie, che ha provocato il conferimento di acque inquinate nei sistemi fognari e nei fiumi vicini e, potenzialmente, ha aumentato il rischio di allagamenti.

Nelle città di tutto il paese, i sistemi di infrastrutture grigie sono sotto-mantenuti e hanno spesso raggiunto la fine della loro vita utile. Sostituire queste infrastrutture obsolete può essere una proposta proibitivamente costosa. Questo approccio “singolo” alla gestione delle acque piovane non è più possibile o auspicabile. In un'epoca di cambiamenti climatici, urbanizzazione e tempeste sempre più frequenti e intense e siccità prolungate e devastanti, le città devono adesso trattare l'acqua piovana come una risorsa da valutare, non uno spreco da gestire.

Le strade rappresentano sia una barriera all'idrologia naturale, sia un'enorme opportunità per un migliore approccio alla gestione delle acque piovane, ma c’è necessità di progetti più snelli e olistici, assicurando che le strade non solo raccolgano e infiltrino l'acqua piovana, ma realizzino anche i potenziali benefici per la salute, la sicurezza e la mobilità del design urbano. Le strategie di progettazione integrate riguardano la qualità dell'acqua e la conformità normativa, oltre alla gestione del traffico, l'accesso a biciclette e pedoni, la sicurezza, l'urbanizzazione e i miglioramenti estetici e ambientali come la qualità dell'aria, la temperatura urbana, la salute pubblica, lo sviluppo della comunità e l'equità.
Le strade possono essere cambiate. Ma il momento di agire è adesso!
Nei prossimi due giorni analizzeremo come la vegetazione urbana e, in particolar modo gli alberi, può rappresentare una risorsa primaria nella gestione delle precipitazioni intense

07/09/2022

Purtroppo avviene spesso anche per coloro che pensano di potare (ma sanno solo tagliare). Lo ripeto per la milionesima volta. Questi sono i famosi "giardinieri" tuttofare che offendono una nobile professione come quella del vero "Giardiniere", con la G maiuscola. Il "Gardener" inglese, persona tecnicamente e scientificamente preparata per prendersi cura delle piante. Patrimonio dell'Umanità.
Unfortunately it often happens to those who think they prune but the are only able to cut. The famous "jack of all trade" "gardeners" who offend the noble profession of gardeners and arborists who are scientifically and technically prepared to care for trees. Human and cultural heritage.

25/08/2022

ESISTE UN POSTO PER LE PIANTE SPONTANEE NEGLI ECOSISTEMI URBANI?
Le aree altamente urbanizzate hanno una lunga storia di “disturbi ambientali”. Durante il processo di urbanizzazione praticamente tutto viene modificato: temperatura, suolo, direzione e intensità del vento, idrologia, il livello di anidride carbonica, l’umidità, la disponibilità di luce, le sostanze nutritive, ecc. Aggiungiamo a ciò un clima che cambia e un aumento dei livelli di inquinamento, e capiamo che la speranza di vedere un sito tornare al suo stato originale - qualunque cosa ciò significhi - è praticamente nulla.
In un ecosistema urbano cosa dovremmo quindi considerare come “flora naturale”? Molto probabilmente non la flora nativa che una volta si trovava sul sito prima che fosse urbanizzato, perché praticamente nessuna delle condizioni è più la stessa. Se definiamo come "naturale" l’esistente con un intervento umano minimo, allora la “flora urbana naturale” sarebbe qualunque cosa che cresce spontaneamente al di fuori dei nostri paesaggi curati e delle aree naturali gestite e residue, cioè una miscela cosmopolita di piante che con le nostre migrazioni sono state portate con noi, più o meno consapevolmente, insieme a una raccolta di specie che pre-esistenti nel sito o che vi sono state introdotte dalla fauna selvatica. In molti modi rispecchierebbe le popolazioni umane delle nostre città moderne - un assortimento di residenti da tutto il mondo con diversi background culturali e diverse storie personali.
Uno studioso americano, Peter Del Tredici, classifica il territorio antropizzato in tre categorie generali in base alle loro funzioni ecologiche: paesaggi autoctoni e residui; paesaggi gestiti e costruiti; e paesaggi ruderali e adattativi. I paesaggi nativi e residui sono generalmente piccole aree all'interno dei confini della città che non sono mai state urbanizzate (es. Parco delle Cascine a Firenze). Contengono una parte delle piante autoctone che un tempo popolavano l'area e richiedono una manutenzione vigile e regolare per impedire alle piante non autoctone e, soprattutto, invasive, di colonizzare questi ambienti e controllare quelle che purtroppo lo hanno già fatto.
I paesaggi ruderali e adattativi sono siti abbandonati o trascurati popolati da piante che sono arrivate da sole e che si mantengono praticamente senza alcun intervento umano. Qui risiede la vera “flora urbana spontanea”. Molte delle piante che compongono la nostra “flora urbana spontanea” sono quelle più rustiche e resilienti, in grado di adattarsi a condizioni anche estreme. Queste compaiono nei paesaggi di tutte le nostre città, ma spesso sono rimosse o controllate in tutti i luoghi tranne quelli abbandonati. È in questi siti trascurati che esse hanno il massimo potenziale per fornire servizi ecosistemici vitali, svolgendo funzioni ecologiche benefiche per la vita urbana.
Una specie “urbana” di successo deve essere adattabile in tutti gli aspetti del suo ciclo vitale, dalla germinazione dei semi alla fioritura e alla fruttificazione, opportunistica nella sua capacità di sfruttare risorse locali abbondanti che potrebbero essere disponibili solo per breve tempo e tollerante delle condizioni di crescita stressanti causate da un eccesso di impermeabilizzazione del suolo e dalla scarsità di volume esplorabile da parte delle radici.
I lotti abbandonati pieni di piante spontanee, anche arboree, i bordi stradali e ferroviari invasi e colonizzati da piante intraprendenti sono generalmente visti come brutti, sgradevoli ai nostri occhi - prodotti di abbandono e declino. Quando parliamo di piante spontanee vorremmo sempre riferirci a specie rustiche autoctone, come olmo, acero campestre, pioppi, bagolari, ecc, ma, purtroppo, le piante che prosperano in tali luoghi sono, spesso, piante invasive come l’ailanto, la robinia, la paulownia, la brussonetia, la Reynoutria japonica e altre. Se è pur vero che queste specie possono svolgere servizi preziosi è altrettanto vero che sostituendo talvolta in toto la flora spontanea autoctona possono ecologicamente compromettere certe aree.
Nostro scopo dovrebbe essere quello di favorire l’insediamento di specie autoctone o naturalizzate in queste aree marginali ed evitare che vengano invece colonizzate da specie invasive ed evitare la diffusione di quest’ultime nei nostri ambienti. L'idea di lasciare crescere specie come ailanto, paulownia, broussonetia, e altre invasive arboree e non solo la trovo pericolosa per la biodiversità e per l'ecosistema urbano tutti, ma mi piacerebbe il parere di qualche ecologo del paesaggio che, sicuramente, è maggiormente competente rispetto al sottoscritto

24/07/2022

Il Ministero della Transizione Ecologica farà uscire entro l'anno il primo bando per usufruire dei fondi stanziati dal Pnrr per l'agrovoltaico. Intanto la consultazione pubblica diffusa dallo stesso Ministero rivela alcuni dettagli per ambire all'incentivo e dà indicazioni su come realizzare gli i...

22/07/2022

Per Florovivaisti Italiani occorre, dunque, recuperare lucidità e visione, a livello nazionale ed europeo. Bisogna contrastare speculazioni e concorrenza sleale, salvaguardare la qualità del prodotto Made in Italy e Ue, nel segno della distintività. Serve, poi, una programmazione per il mercato d...

14/07/2022

Portare attenzione sul settore con un'iniziativa di altissimo livello e che vede già confermato l’intervento del ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli. Un momento concreto per fare il punto su questioni dirimenti per il comparto e ambiti centrali, dai substrati di produzione alla ...

03/07/2022

Vista l'eco che ha suscitato una mia affermazione, riportata qualche mese fa dalla stampa (e che mi ha fatto guadagnare molte offese personali e professionali), riguardo alla riduzione dell'inquinamento da parte delle piante in riferimento alla struttura di una strada, penso sia opportuno chiarire a...

05/06/2022

VOGLIAMO PIANTARE MILIARDI DI ALBERI? INVESTIAMO PRIMA NEL SETTORE VIVAISTICO - articolo originale pubblicato su Economia&Finanza verde
https://www.economiaefinanzaverde.it/2021/06/09/vogliamo-piantare-miliardi-di-alberi-investiamo-prima-nel-settore-vivaistico/?fbclid=IwAR18hCHiyYXrcQw358e3Dazk8HTEzhuLYNXTY7DVZq_So3cJ5OAmVI4LQek
Mentre ci avviciniamo a 1,5 gradi di riscaldamento planetario, cresce la consapevolezza che le foreste sono la migliore soluzione per rallentare il cambiamento climatico poiché sono, al contempo, una strategia di mitigazione del riscaldamento globale (riducono le emissioni e la concentrazione di CO2 attuale) e di adattamento, principalmente attraverso il raffrescamento dell’aria e la prevenzione del riscaldamento delle superfici. Ma soprattutto sono una soluzione basata sulla natura.
Per questo motivo molti governi nazionali e locali governi stanno lanciano campagne di forestazione di massa. Se non possiamo che plaudire alle diverse iniziative (finalmente verrebbe voglia di dire!) dei governi locali e nazionali e anche di organizzazioni private che, almeno a parole, si preparano alla afforestazione/riforestazione di massa, attraverso diverse iniziative ai diversi livelli, incluso il World Economic Forum, rimane una grande domanda: dove troveremo esattamente le decine di milioni (ma si parla di miliardi) di piante per realizzare gli obiettivi? In questo momento l’offerta dei vivai nazionali, forestali o di produzione di piante per il verde urbano, si stima sia intorno ai 10 milioni di piantine (numero totale, non di quelle potenzialmente vendibili). Dobbiamo anche ricordarci che i futuri impianti necessiteranno della disponibilità di un numero di piante nei vivai almeno del 20-25% superiore alle richieste per garantire che le piante morte (una mortalità del 5% può considerarsi “fisiologica” anche se un impianto ben pianificato e realizzato dovrebbe tendere alla “zero mortalità”) vengano rimpiazzate.
Le aziende produttrici devono perciò affrontare sfide significative per soddisfare questa domanda di piantine. Ma sono pronte? Saranno pronte?
Rimanendo nel nostro Paese, possiamo tranquillamente affermare che senza cambiamenti sostanziali, i vivai nazionali non possono e non potranno neanche avvicinarsi a soddisfare la crescente domanda di alberi. Dovrebbero più che raddoppiare (ma, azzardo, forse quintuplicare) la loro produzione attuale per raggiungere gli obiettivi che diverse istituzioni hanno fissato ma, ovviamente, la cosa non è così semplice neppure nel medio periodo a causa dell’esistenza di numerose barriere, non solo economiche.
Infatti, mentre la maggior parte dei vivai potrebbe essere anche disposta ad espandersi, problemi seri e non facilmente superabili rendono difficile farlo. I principali tra questi sono sicuramente la carenza di superfici utilizzabili per le piantagioni, una forza lavoro non sempre adeguata, la mancanza di contratti di dimensioni e durata sufficienti per giustificare investimenti per l'ampliamento e, soprattutto, una serie di vincoli ambientali che, di fatto, frenano l’espansione delle superfici investite a vivaio. Questo nonostante che, ormai, la gran parte delle produzioni non solo sono rispettose delle normative ambientali, ma rappresentano “pozzi di carbonio”, potendo garantire l’assimilazione, il sequestro e lo stoccaggio di grosse quantità di CO2.
I produttori di piante sono anche e, comprensibilmente, diffidenti nei confronti del rischio economico che deriva dalla costruzione di serre, dall'acquisto/affitto di terreni della necessità di maggiori attrezzature e dalla coltivazione di un numero di piante molto superiore.
Ricordiamoci poi che gli alberi impiegano dai 3-4 anni (1-2 se si parla si materiale forestale) fino a 6-7 anni per arrivare alla minima dimensione vendibile e può essere difficile prevedere la domanda del mercato con così tanto anticipo. Mentre gli investimenti sono immediati, il ritorno è, spesso, lontano nel tempo e per limitare la probabilità di dover buttare via le piantine se gli acquirenti non si materializzano, i vivai di solito coltivano ciò che è necessario per adempiere ai contratti già in essere, ma sono molto cauti nel pianificare l’impianto di nuove superfici. Questo spesso significa che può esserci una grave carenza di piantine dopo stagioni estreme di incendi, tempeste e altre catastrofi, per coloro che non hanno contratto di coltivazione prima di un tale evento.
Come agire?
Ampliare in modo sostanziale la produzione vivaistica in tempi brevi sarà difficile, se non impossibile, ma se le foreste sia urbane che periurbane devono adattarsi ai cambiamenti climatici e fare la loro parte nella mitigazione, questo può e deve essere fatto. La forestazione di nuove aree potrebbe compensare milioni di tonnellate di carbonio all'anno e contribuire a ridurre l'inquinamento atmosferico nelle città, fornire acqua pulita e ridurre il rischio di decessi dovuti al calore.
Espandere la superficie vivaistica, coltivare, piantare e prendersi cura di tutti questi alberi, sarebbe anche un grande vantaggio economico. Ogni milione di euro investito nella capacità e nelle operazioni dei vivai sostiene, mediamente, da 14 a 48 posti di lavoro, a seconda dello tato. Molti lavori di riforestazione si trovano poi in aree rurali economicamente depresse, dove è improbabile che si verifichi un'espansione economica senza strategie esplicite.
Nel settore privato, il mercato della rimozione del carbonio sta iniziando a crescere. Gli impegni “Net zero” (o zero emissioni) rappresentano, in certi Paesi, già oltre il 50% del PIL globale e il 25% delle emissioni globali. I maggiori player stanno guidando ulteriori investimenti “Net zero”. Una recente analisi suggerisce che, entro il 2050, le entrate derivanti dal mercato della rimozione del carbonio potrebbero superare gli attuali valori di mercato delle industrie del petrolio e del gas.
Con l'espansione dell'economia a impatto zero nei prossimi due decenni, il settore privato soddisferà gran parte dei suoi impegni attraverso la rimozione del carbonio basata sulle soluzioni naturali (NBS – Nature Based Solutions). Ma non basta. Bisogna che la crescita dei progetti di riforestazione invii segnali di mercato ai vivai e ai proprietari terrieri per coltivare e piantare più alberi. Questo si ripercuoterà in linea diretta sul potenziale di riforestazione. Ma per essere pronto, anche il settore pubblico deve fare la sua parte.
Un pacchetto di politiche nazionali e continentali per le infrastrutture, ad esempio, potrebbe includere finanziamenti per lo sviluppo di vivai e progetti di piantagione di alberi. Le garanzie sui prestiti alle imprese per lo sviluppo del settore potrebbero aiutare i vivai a crescere per soddisfare le richieste future.
Per i terreni privati lo stato potrebbe attuare programmi per promuovere la piantagione di alberi per la conservazione e ciò porterebbe più ordini di piantine ai vivai e progetti di piantagione ai proprietari terrieri privati.
Sul fronte della forza lavoro, potrebbe essere promossa la creazione di un programma per l'occupazione per formare i giovani a carriere rispettose dell'ambiente e soprattutto orientarli alla gestione sostenibile e tracciabile della filiera produttiva in un’ottica simile alla blockchain.
Anche la creazione o il rilancio dei vivai statali, soprattutto per la produzione di materiale forestale analogamente a quanto fece Franklin D. Roosevelt (che fu in grado di piantare più di 3 miliardi di alberi) rappresenterebbe un notevole impegno, ma anche un altrettanto notevole passo avanti.
Certo, non possiamo semplicemente piantare alberi e andarcene. Una corretta gestione è essenziale per garantire che le nostre foreste siano in grado di gestire gli effetti del cambiamento climatico.
Man mano che si profilano gli scenari peggiori del cambiamento climatico, gli Stati devono ridurre drasticamente le emissioni di carbonio, agendo con urgenza per ripristinare le foreste. Come detto, ciò significa in primis aumentare molto la produzione di piantine, investire in programmi di lavoro e aumentare i finanziamenti per i progetti di piantagione di alberi. Come tutte le grandi cose, questo richiederà intraprendenza, partnership collaborative e leader nei settori pubblico e privato. È in gioco un clima stabile: cresciamo.

04/06/2022

L'UOMO SAGGIO SI INFORMA SU CIÒ' CHE È GIUSTO. L'UOMO STOLTO SI INFORMA CIÒ CHE PAGHERÀ (parafrasando Confucio)
CHE ALBERO SCELGO? COME I CAMBIAMENTI CLIMATICI MODIFICHERANNO LA DIFFUSIONE DELLE SPECIE VEGETALI NEL MEDITERRANEO
SINOSSI: Le foreste urbane non costano, ma sono un investimento. Riscaldamento globale e siccità sono i fattori che più influiranno sulla crescita delle piante. Gli alberi termofili potrebbero avere una maggiore diffusione in Europa meridionale e centrale
Il peso maggiore nella pianificazione del verde urbano dovrebbe essere attribuito alla corretta realizzazione e gestione degli impianti e non al problema di come far sì queste costino il meno possibile. Come misura del successo, questo è il parametro peggiore che si possa utilizzare, come in altre sfere di attività, ma è quello che spesso esercita una maggiore attrazione per quegli uomini inferiori, il cui status è già stato stabilito venticinque secoli fa da Confucio – un arco di anni che sembrerà immenso alla maggior parte degli uomini, ma non a chi conosce gli alberi.
Un articolo pubblicato qualche anno fa su "Environmental and Experimental Botany" ha ipotizzato gli effetti del riscaldamento globale sulla diffusione delle piante. La tolleranza alla siccità sarà il vero parametro selettivo. I modelli di previsione dei cambiamenti climatici in Europa meridionale differiscono da quelli proposti per le regioni centrali e settentrionali, soprattutto per quanto riguarda le precipitazioni. In realtà, una forte riduzione media delle precipitazioni, principalmente causata dalla diminuzione della frequenza degli eventi piovosi, si crede possibile nel bacino del Mediterraneo nei prossimi 30-50 anni, ma è già evidente adesso e sta già producendo effetti negativi. L’aumento della frequenza e della durata degli eventi siccitosi procederà di pari passo e sarà chiaramente aggravata dal riscaldamento. Diversamente dalle aree dove la crescita delle piante è limitata dalla temperatura (ovvero le foreste boreali più temperate) e dove è stato segnalato che il riscaldamento può aumentare l'assimilazione del carbonio e la crescita, le piante presenti nel bacino del Mediterraneo sono quelle che risentiranno più degli effetti del riscaldamento globale. Tali piante sono al momento vicino alla loro temperatura ottimale, e l’innalzamento delle temperature può contribuire a comprometterne la fisiologia e deprimere la crescita.
Tutto ciò determinerà una diversa diffusione delle specie. L’incremento di CO2 atmosferica ha conseguenze sull’aumento della crescita, sull’efficienza della fotosintesi e, in parte, può alleviare gli effetti deleteri del riscaldamento e della siccità. Nelle zone dove si verificano gravi e prolungati episodi di siccità, tuttavia, la fotoinibizione e la limitazione metabolica della fotosintesi possono impedire alle sclerofille mediterranee di approfittare di una concentrazione maggiore di CO2 atmosferica.
Le specie forestali più sensibili sono, nel bacino del Mediterraneo, al limite meridionale del loro areale di distribuzione. Al contrario, gli alberi termofili potrebbero avere una maggiore diffusione sia in Europa meridionale e centrale, poiché il limite determinato dalla frequenza di inverni molto freddi sarà ridotto dal riscaldamento.
Per queste ragioni e a causa della grande variabilità delle caratteristiche ecologiche, la presunta sostituzione delle specie arboree può seguire un modello naturale da sud a nord e verso altitudini dal basso all’alto, senza considerare gli ostacoli derivanti dalla urbanizzazione. La ricerca sulle prestazioni e la plasticità ecologica di diversi genotipi, sulla selezione delle specie e sugli impianti e la sua gestione tecnica può avere, quindi, importanza strategica per la gestione adattativa della foresta urbana.
Ecco perché non dobbiamo scegliere ciò che costa meno, ma ciò che renderà di più.
Articolo originale
Bussotti F., F. Ferrini, M. Pollastrini, A. Fini, 2014. The challenge of Mediterranean sclerophyllous vegetation under climate change: from acclimation to adaption. Environmental and Experimental Botany. Vol. 103: 80–98

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Novoli
73051

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Martedì 09:00 - 17:00
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