Uno degli ostacoli più grossi da superare nell’approccio ad un corso d’acqua è senza alcun dubbio quello di continuare a pensare ed a comportarci come se ci si trovasse di fronte ad acque ferme. Si tratta di una condizione mentale che spinge, chi ha poca dimestichezza, a ricercare le somiglianze con queste ultime, i punti ed i momenti in cui l’acqua è più ferma, che lo porta magari a prediligere le morte e le chiuse, ovvero gli scorci meno tipici di questo genere di ambienti, ed a considerare la corrente quasi come un fattore “nemico” ed un handicap per gli stessi abitanti del fiume o del canale.
Una idea molto diffusa, tra chi ha poca dimestichezza con fiumi e canali, riguarda la possibilità che la corrente presente sia in grado di “danneggiare” le nostre pasturazioni, disperdendo su tratti anche molto estesi le esche lanciate in acqua, oppure molto lontano dai nostri inneschi, con il risultato di perdere l’effetto finale di interessamento ed avvicinamento del pesce. Il problema esiste ed è innegabile, ma non è certo evitando di pasturare preventivamente o in fase di pesca che lo si risolve, anzi… In questo genere di acque, una buona pasturazione è assolutamente fondamentale per interessare folti branchi di pesci nomadi o singoli esemplari di taglia, visto che si tratta di ambienti indubbiamente ricchi di risorse alimentari di vario genere. Da questo punto di vista, i risultati, talvolta facili ed immediati, anche a fronte di un impegno modesto, sono spesso ingannevoli e limitanti. Cerchiamo quindi di comprendere meglio quello che può essere il reale effetto della corrente sulla nostra pastura, andando ad analizzare la sua azione all’interno del volume d’acqua di un ipotetico corso. Innanzitutto bisogna considerare il fatto che l’intensità della corrente ha un andamento decrescente scendendo verso il fondo. Nei pressi di questo la velocità dell’acqua è quasi nulla, a meno di conformazioni particolari del corso. Per questo si può ragionevolmente ritenere che al di là dello spostamento verso valle che si ha durante la discesa della pastura verso il fondo, una volta che questa si è adagiata (tra limo, pietrisco e disconnessioni varie) difficilmente percorrerà più di qualche centimetro, anche se si tratta di boilies perfettamente sferiche. Non scordiamo ci mai che non siamo su un tavolo da biliardo… Altro aspetto fondamentale da considerare è che, nella maggior parte dei casi, il nostro interesse è rivolto verso i settori marginali, per loro natura meno esposti alla corrente tesa ed unidirezionale del centro corso, e quindi ciò che lanciamo in acqua può essere soggetto ad uno “sparpagliamento” localizzato, ma molto meno ad un allontanamento verso valle. In ogni caso, anche se la pastura va ad adagiarsi ad una decina di metri di distanza dai nostri inneschi, questo non pregiudicherà più di tanto la nostra azione di pesca. Una volta interessate alla pastura, le carpe risaliranno la corrente ricercando le esche sparse su un raggio di svariati metri fin quando non troveranno l’innesco.
Queste mie affermazioni potranno sembrare superficiali ed approssimative, ma in questo genere di ambienti la pignoleria è l’ostacolo più grande che possiamo incontrare; fiumi e canali richiedono in primis una estrema adattabilità. In alternativa, nei casi di corrente più sostenuta, si può sempre ricorrere all’appesantimento delle esche, magari chiudendo boilies, pellets e granaglie all’interno di pastura da fondo, unendo il tutto a qualche manciata di argilla e ghiaia fine (non sto dicendo niente di nuovo per chi è abituato a cercare cavedani, barbi e savette nelle acque dei fiumi). Talvolta le maree modificano le normali condizioni di corrente, generando dei forti aumenti di intensità. In questi casi è opportuno consultare la tabella delle maree ed evitare di andare a pasturare subito dopo il picco di alta, nella prima fase discendente, quando la corrente raggiunge la massima intensità. Quanto detto sopra per evitare di “disperdere” troppo le esche lanciate. Ma siamo proprio sicuri che sia un errore “allargare” la pastura (soprattutto quella preventiva) su grosse superfici? Le mie esperienze mi hanno dimostrato più di una volta il contrario, ovvero che risulta preferibile distribuire (grandi) quantità di esche su grandi superfici. Le controindicazioni sono poche e legate esclusivamente a condizioni particolari di acqua o stagione. Questo sarà argomento di uno dei prossimi appuntamenti in cui affronteremo le tattiche di pasturazione.
QUANDO ARRIVA LA PIENA
E se dopo un periodo di pasturazione arriva una piena, che fine fa tutto il nostro lavoro? Si tratta di uno degli interrogativi più angoscianti per il carpista, ma mi sento di affermare che non si tratta di una situazione in grado di danneggiarci in modo così marcato come tanti credono. Basta provare a ricostruire mentalmente cosa può accadere nel tempo che intercorre tra la nostra ultima pasturazione e l’inizio dell’aumento del livello. Se solo le carpe hanno una mezza giornata di tempo per fermarsi sulla pastura a mangiare prima dell’arrivo della piena, possiamo star certi che il nostro lavoro ha svolto appieno la sua funzione e non appena le condizioni del corso d’acqua lo consentiranno potremo entrare in pesca in modo efficace, magari subito dopo un leggero richiamo di pastura. Solo quello che è rimasto sul fondo verrà spazzato via dalla piena, ma se stiamo “curando” il settore da tempo, difficilmente le carpe si lasceranno sfuggire la pappa da sotto il naso. Tra l’altro ho potuto constatare in più di una occasione che l’iniziale aumento di livello causato dalla pioggia ha un effetto stimolante sul pesce (se non si tratta di una perturbazione fredda), che incrementa la sua attività alimentare fino a quando la corrente non diventa impetuosa o le acque non si intorbidiscono troppo. E le carpe? Qualcuno è ancora convinto che le piene siano in grado di trascinare via anche il pesce dal settore di pesca. In realtà si tratta di un’altra idea assolutamente da abbandonare e le catture ripetute degli stessi esemplari che avvengono ogni anno negli stessi punti nonostante le più irruente piene invernali, sono la testimonianza più convincente di questo. Un tipico corso d’acqua di pianura può essere visto idealmente come costituito da una serie di zone (in gergo settori) ognuna delle quali da considerare come un ambiente a se stante. Il pesce che abita un dato settore in modo stanziale o periodico conosce perfettamente ogni sua caratteristica, fondali, punti in cui reperire cibo, tane e rifugi per ogni condizione ambientale, piene comprese. Vorrei chiarire che quando si parla di settore non mi riferisco ad un semplice spot, all’albero semisommerso, al gruppo di rocce o al canneto franato in acqua. Un settore è una superficie di una certa ampiezza, che si sviluppa anche su oltre un chilometro di fiume o di canale ed in cui si possono incontrare più o meno tutte le tipicità di quel dato corso d’acqua. Ci sono poi carpe che non ne escono mai ed altre che si spostano a rotazione su settori differenti, ma non è certo una piena a decretare questi spostamenti. Anche gli “sconvolgimenti” che una piena particolarmente intensa può generare in un corso d’acqua sono sempre piuttosto localizzati: potrà sparire l’albero semisommerso sotto al quale abbiamo pescato per tutta l’estate, la sponda di un “curvone” potrà diventare ripidissima ed inagibile a causa di una forte erosione, mentre magari sulla sponda opposta si creerà una vasta spiaggia, ma difficilmente le carpe abbandoneranno il settore. Basterà cercare le stesse caratteristiche di fondale, di corrente, ecc. che avevamo individuato come ottimali e troveremo di nuovo le carpe, le solite carpe, conosciute e fotografate, magari solo a poche decine di metri dai punti in cui le andavamo ad insidiare prima della piena.
DOPO LA PIENA
Ci sono corsi d’acqua che dopo una piena riacquistano velocemente le condizioni normali di portata, colore, ecc. ed altre che mantengono livelli più alti o acque torbide per periodi prolungati, (fino ad alcune settimane dopo la fine delle piogge). La consuetudine vede il pescatore attendere il ritorno delle condizioni normali prima di andare a pesca, ma questa prassi non deve essere una regola: spesso le regole sono solo un handicap. La mia profonda passione per la pesca è da sempre motivo di irrequietezza e pazzie, che mi spingono a “ritagliarmi” con le unghie dei momenti di pesca anche quando il tempo non ci sarebbe; figuriamoci se in questi frangenti posso stare a guardare il meteo, la luna, o aspettare che il livello si ristabilisca... E’ così che ho imparato una nuova lezione e mi sono ritrovato a fare pescate strepitose nei canali della mia zona, con acque ancora alte e torbide e la corrente che impone l’uso di piombi piatti da 150 gr in corsi in cui di solito l’acqua è quasi ferma, o in momenti in cui le idrovore si azionano con una frequenza altissima, creando ciclicamente dei veri e propri “maremoti”. Queste condizioni di acqua alta e presenza di correnti anche molto forti ed insolite, che smuovono i fondali in maniera anche marcata, hanno il potere di mantenere le carpe in uno stato di iperattività continua per giorni, in qualsiasi stagione. Tutto ritorna alla normalità quando anche le acque riacquistano le loro caratteristiche consuete.
Chiaramente, dopo esperienze del genere, non posso che “adorare” le acque correnti…