29/04/2022
Andrea Bacci
(Sant’Elpidio a Mare 1524 – Roma 1600)
Dallo studio delle terme all’enologia
Archiatra pontificio, studiò le virtù curative delle acque valorizzando i luoghi
termali. Con il “De naturali vinorum historia” lasciò il più grande e moderno
libro di enologia
Quando nel 1868 l’Arcispedale romano di Santo Spirito decise di decorare la sua galleria con i busti dei
maggiori medici della storia, fra questi inserì anche Andrea Bacci.
Nato a Sant’Elpidio a Mare nel 1524 dall’ingegnere milanese Andrea, impegnato nella fabbrica
della nuova basilica di Loreto, e da Riccadonna del ramo elpidiense dei Paleologo, già imperatori di
Bisanzio, dopo aver studiato medicina a Siena ed essersi laureato a Roma, Bacci ebbe per breve tempo
una condotta a Serra San Quirico ma, grazie alla protezione del suo concittadino Modestino Cassini,
archiatra pontificio di Pio V, ottenne la cattedra di botanica all’Archiginnasio di Roma.
Più che medico fu scienziato e ricercatore, e si occupò principalmente delle acque. Il suo trattato
De Thermis, stampato in prima edizione a Venezia nel 1571, resta, a distanza di secoli, una pietra
miliare nello studio delle acque, delle loro qualità curative, delle specifiche applicazioni terapeutiche.
L’eco fu tale che l’opera venne ristampata più volte in pochi anni (l’ultima edizione, postuma, è del
1711 a Padova) e il Bacci fu nominato archiatra pontificio di Sisto V e aggregato nel 1576 al
Reggimento capitolino (1576: da allora usò firmare nelle sue opere «philosophus, medicus elpidianus et
civis romanus»).
Tuttora le sue ricerche in campo termale sono apprezzate e riconosciute come prima vera
attribuzione della dignità di «terme»: già nell’800 le terme di Fiuggi si pubblicizzavano con le sue
parole; i visitatori dell’ampio salone delle terme di Salsomaggiore possono ancora leggere intorno al
cupolone le sue parole «Sunt Thermae medicinae optima pars».
Sullo stesso argomento scrisse altre opere, trattando delle acque di Tivoli, delle terme delle
località presso Roma, dei bagni bergamaschi, delle fonti anticolane, ma si occupò anche del Tevere con
un trattato ingegneristico contro le esondazioni. Scrisse trattati sulle pietre preziose, sui veleni e sui loro
antidoti, sui medicamenti in generale, ma in tarda età si dedicò a un’altra opera monumentale destinata
anch’essa a dargli fama eterna.
Nel 1576 dette alle stampe la poderosa De naturali vinorum istoria, un eccezionale trattato sulla
storia del vino, sui metodi di coltivare l’uva e vinificare, sull’uso curativo e sulle controindicazioni del
vino, su tutte le uve e i vini conosciuti in Italia e nel mondo, sul modo di apprestare la tavola e abbinare
il vino alla pietanza. Il più grande trattato di enologia giunto fino a noi, scritto in capitoli secondo la
moderna concezione della guida turistico-enogastronomica, nel quale per la prima volta nella storia si
parla dello «spumante», e non se ne abbiano a male i francesi.
Rimase sempre affettivamente legato alla sua città natale (soleva firmare «philosophus, medicus
elpidianus et civis romanus») alla quale dedicò il libretto Le origini della ancitca città di Cluana che è
hoggi la Nobile Terra di Sant’Elpidio, dato postumo alle stampe.
Colmo di onori, morì a Roma il 25 ottobre 1600 e fu sepolto in San Lorenzo in Lucina.