Associazione Introibo ad altare Dei - Torino

Associazione Introibo ad altare Dei - Torino Associazione per la promozione del M.P. Summorum Pontificum (Coetus fidelium stabiliter existens ex art. 5 M.P. Summorum Pontificum)
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21/07/2024

Dopo lunga attesa e molte insistenze un monaco ci ha concesso questa intervista sul monachesimo. C.R.------------------------------

DOMANDA: Buon giorno. Come sta?
RISPOSTA: Pace. Quando Dio ci concede di prepararci alla morte stiamo sempre molto bene.
DOMANDA: Pensa molto alla morte?
RISPOSTA: Bisogna farlo. Se pensassimo spesso alla morte, se considerassimo che tutto lasceremo qui, che nulla ci appartiene, neppure il nostro corpo, procederemmo più spediti sulla strada della santità; e il mondo sarebbe pure molto migliore. La vita vera è quella eterna, e il cristiano deve anelarci ogni giorno, ogni momento. Come il prigioniero anela alla libertà. La vita eterna significa vedere Dio! La somma di tutte le felicità che possiamo umanamente concepire, e infinitamente di più. Abbiamo tanti e felici motivi per pensare alla morte e prepararci ad essa nel miglior modo possibile. Un'anima intrisa di fede trae gioia e gusta molta felicità dal pensiero della morte.

DOMANDA: Lei ha una certa ritrosia a mostrarsi?
RISPOSTA: Il monaco deve nascondersi più che mostrarsi. “Nec videre nec videri”: non vedere e non esser visti. E' questa quella che potremmo definire una delle norme alla base della vita monastica autentica che si caratterizza proprio per il nascondimento.

DOMANDA: Che ruolo ha la tradizione nel monachesimo?

RISPOSTA: Il vero monachesimo è solo quello tradizionale, perché le tradizioni non sono altro che le orme lasciateci dai nostri padri nella loro sequela di Cristo. Le tradizioni sono, dunque, una via certificata e garantita per vivere correttamente il vangelo e giungere così in paradiso. Ma dobbiamo pure tener presente che le tradizioni possono guastarsi, ed in tal caso abbiamo il dovere di restaurarle. Una strada, anche la migliore, necessita di manutenzione per evitare che il suo uso la deteriori. Così è per le tradizioni: hanno bisogno di manutenzione.
Siccome tale “manutenzione” non sempre è stata fatta ed in certi casi è stata fatta male, in tali casi le tradizioni ne hanno avuto danno. Da qui nasce la decadenza. Le varie riforme che nei quindici secoli che ci separano dal santo nostro padre Benedetto si sono avute nel monachesimo, hanno tutte avuto come fine il restauro della tradizione, eliminando le decadenze introdottesi.
In teoria il cosiddetto “aggiornamento” della vita religiosa imposto dopo l'ultimo concilio doveva restaurare . In realtà ha finito per distruggere molte tradizioni antiche, e quelle che si sono conservate sovente sono state manomesse, pensando che i tempi moderni richiedessero un monachesimo moderno. In generale questo ha introdotto in monastero comodità prima sconosciute e quindi si è prodotto un ulteriore rilassamento disciplinare. Per tornare, cioè, allo spirito dei padri abbiamo finito per allontanarci ulteriormente da esso! Il risultato è un monachesimo irriconoscibile, a tratti impazzito.
Se si fa una ricerca sulle offerte dei vari monasteri si vedrà che c'è una enorme prevalenza di offerte formative di ogni tipo: dalla spiritualità buddista a quella amazzonica passando per i corsi di “cetra liturgica” e anche di “danza liturgica”. Cose da pazzi! Nella miriade di corsi di ogni genere, anche di argomenti nei quali i monaci cristiani non dovrebbero certo essere preparati, con una mia ricerca non sono riuscito a trovare un solo corso di spiritualità autenticamente cristiana. Magari ci sarà pure qualche monastero benedettino che lo offre, ma nella mia ricerca non ne ho trovato. Mentre ho trovato una infinità di corsi di spiritualità non cristiane!
Sembra cioè che il monachesimo cristiano non abbia tradizione, non abbia spiritualità e per questo si mette a spacciare spiritualità altrui, per lo più dell'estremo oriente. Tutto questo è terribile! Ed è sintomatico di come si trova oggi il monachesimo occidentale, ridotto a spacciare spiritualità di altre religioni.

DOMANDA: Quali problematiche vede nel monachesimo?
RISPOSTA: Storicamente possiamo individuare due macro problemi che ne hanno poi prodotto altri. La clericalizzazione è da molti secoli un vero problema. I monaci sacerdoti (o destinati ad esserlo) hanno addirittura finito per estromettere i monaci laici. E così si è arrivati all'aberrazione di avere monaci di serie A che non facevano nessun lavoro manuale e monaci di serie B che facevano i lavori manuali anche per gli altri. In pratica monaci che facevano i signori e monaci che facevano i servi. Una vera e propria aberrazione. Si è realmente diviso il monachesimo in due caste che vivevano completamente separate, e separatamente pure pregavano. Grazie a Dio ora questa aberrazione è per lo più sparita, ma la mentalità, ed una certa prassi permangono.
DOMANDA: Cioè?
RISPOSTA: Basti pensare che un monaco laico non può essere abate; non ha la tonsura, mentre ce l'ha il monaco sacerdote, che però non è quella monastica, ma l'ecclesiastica. Ed in questo caso si confonde pure questa con quella; ma sono due cose completamente diverse. Nella maggior parte dei rituali monastici degli ultimi secoli non c'è più neppure un rito di tonsura. Perché tanto non serviva a nulla, perché il monaco laico non la riceve e non la porta, e quello sacerdote fa quella ecclesiastica! Ma la tonsura è uno degli elementi più antichi e tradizionali del monachesimo, al punto che la Regola neppure ne parla e la menziona solo, dandola per scontata come caratteristica fondamentale del monaco, di ogni monaco.
L'altro problema è la cura pastorale esterna, che nuoce grandemente alla vita monastica, soprattutto se è una cura stabile. Un monaco si ritira dal mondo e deve uscire dal monastero solo per grave necessità. Ma avere cura pastorale esterna stabile significa vivere più fuori che dentro il monastero. Più nel mondo che lontano da esso e, comunque, significa intrattenere continui rapporti col mondo; ed anche se sono finalizzati ad un bene spirituale sono sempre nocivi per la vita monastica, che è essenzialmente vita di ritiro dal mondo. Se continuiamo a frequentarlo, anche per i più santi motivi, il monachesimo ne subirà sempre molto danno. E questo, ovviamente, vale pure per i mezzi di comunicazione, soprattutto moderni, che il mondo lo portano tutto direttamente in monastero, senza bisogno di uscire, fin dentro la stessa cella. Sono nocivi, e ne ho esperienza personale, visto che per necessità sono costretto ad usare ancora tali mezzi. Ma mi accorgo che mi distraggono molto spiritualmente. La nostra santa Regola ci dice che il silenzio è più importante anche dei discorsi più santi. Ci sono cioè degli elementi essenziali del monachesimo che devono essere salvaguardati e che il monaco sacerdote che frequenta il mondo per necessità pastorali vede danneggiarsi. Ed è un danno non solo del singolo monaco ma finisce per ripercuotersi in qualche modo sull'intera comunità. Nella tradizione monastica il monaco portinaio o foresterario sovente non veniva ammesso neppure alla ricreazione comune perché, proprio per il suo incarico aveva rapporti con gli estranei e poteva, anche involontariamente, portare dentro la comunità notizie e novelle del mondo che devono invece restarne sempre fuori.
DOMANDA: Ma un sacerdote, anche se monaco, deve pur sempre avere cura d'anime !
RISPOSTA: E appunto per questo nella tradizione antica i monaci sacerdoti erano pochissimi, giusto il numero necessario per i bisogni interni del monastero. I problemi sono nati coll'aumento abnorme dei monaci sacerdoti, diventati sovente i soli monaci, e con la loro conseguente attività pastorale esterna. Tuttora ci sono abbazie che hanno decine di monaci che fanno i parroci, vivendo i più fuori dal monastero anche per decine di anni. La loro vita monastica ne esce devastata al punto che molti non riescono più neppure a rientrare in comunità.

DOMANDA: Lei è un monaco laico. Come la vedono gli altri benedettini?
RISPOSTA: Non saprei. Non ho mai chiesto a nessuno cosa si pensa di me perché non mi devono interessare i giudizi altrui. So però che almeno la curiosità per questa fondazione monastica è molta. Sono venuti qui in visita non solo una ventina di sacerdoti secolari ma pure diversi monaci, anche dal nord Europa.
DOMANDA: Tradizionalisti?
RISPOSTA: Anche, ma non solo.
DOMANDA: Forse sono curiosi perché lei sembra un tradizionalista strano.
RISPOSTA: E perché lo sarei? Perché ritengo che non tutto ciò che c'era prima dell'ultimo concilio fosse perfetto? Non è forse vero? Lo diceva Pio X, non lo dico io.
DOMANDA: Non saprei. Io sono sacerdote secolare e non conosco il monachesimo.
RISPOSTA: Questo è un grosso problema già lamentato dal beato nostro padre Ildefonso Schuster: il clero secolare praticamente non sa nulla del monachesimo, che per secoli è stato però la spina dorsale stessa della Chiesa. Non solo, ma la stessa vita cristiana secolare aveva una qualche caratteristica monastica. La storia della Chiesa è costellata di vescovi che hanno cercato di attuare una vita cenobitica coi loro sacerdoti. Insomma, il cenobitismo è un ideale che non morirà mai.
La pellegrina Egeria ci informa che a Gerusalemme, nel IV secolo, i laici si univano spessissimo ai monaci nelle ufficiature anche notturne. Cosa che faceva pure il clero, compatibilmente con gli impegni pastorali.
DOMANDA: Lei ritiene che il monachesimo debba riavere più spazio nella Chiesa?
RISPOSTA: Il monachesimo oggi viene visto come una delle tante possibili esperienze religiose, ed è indubbiamente caduto in uno stato di insignificanza. Per oltre mille anni però era l'unica esperienza religiosa. Ed il concilio lateranense IV arrivò a proibire la creazione di nuove comunità religiose, proprio perché non si può avere nulla di più perfetto e migliore del monachesimo cenobitico.
E nell'oriente cristiano il monachesimo ha conservato fino ad oggi il suo posto, e per questo si può ben dire che i bizantini, uniti o separati, sono chiese monastiche, perché tutto l'episcopato e buona parte del clero è formato da monaci. Questo nel concreto significa avere una forza molto grande, che in occidente non abbiamo più, perché da noi solo una sempre più insignificante percentuale di vescovi proviene dal monachesimo. Mentre la schiacciante maggioranza proviene dal clero secolare. E questa situazione ha enormemente secolarizzato pure la vita cristiana laicale.
DOMANDA: Ma i laici non sono monaci!
RISPOSTA: Però il monachesimo trae origine proprio dalle esperienze comunitarie dei primi fedeli laici e ne costituisce il perfezionamento. Cristo stesso viveva insieme ad apostoli e discepoli. E per questo la vita comunitaria resta la più utile a santificarci. E lo scopo di questa esistenza terrena è uno solo: farci santi. In fin dei conti ci lamentiamo dell'esasperato individualismo odierno che porta tanta indifferenza e inumanità. L'uomo è un essere sociale per sua natura. Anche recentemente ho letto un articolo di un vescovo che lamenta l'individualismo di tanti sacerdoti. Ciò che è in qualche modo innaturale, dunque, è che l'uomo viva solo, non che viva in comunità. Oggi non si conosce neppure il vicino di casa. Fino a pochi decenni fa ci si conosceva tutti, dandosi aiuto vicendevolmente. E' vero che molti sacerdoti sono malati di individualismo, ma è la società che lo inocula senza che neppure ce ne accorgiamo.

DOMANDA: Qual'è oggi il problema maggiore che vede nel monachesimo?
RISPOSTA: Il modernismo, che devasta le menti e le tradizioni.
DOMANDA: Perché?
RISPOSTA: Perché i monaci, come tutti i religiosi, sono quelli maggiormente colpiti dal cancro del modernismo. Molto più del clero secolare.
DOMANDA: La sua diocesi ha un vescovo monaco. Cosa pensa della sua fondazione monastica?
RISPOSTA: Non saprei. Neppure lo conosco.
DOMANDA: Come? Non conosce il suo vescovo?
RISPOSTA: No. Non l'ho mai visto.
DOMANDA: Mi permetta, ma non credo sia il vescovo a dover ve**re da lei, penso sia lei a dover andare da lui.
RISPOSTA: Lo penso pure io. Ma se non ho ricevuto risposta neppure agli auguri di Natale né a un'altra precedente missiva credo si capisca bene che anche lui, come il predecessore, non vuole aver nulla a che fare con uno sporco tradizionalista. E io non voglio certo costringere nessuno ad occuparsi di questioni delle quali non si vuole occupare. Noi tradizionalisti siamo i paria del cattolicesimo. Intoccabili, disprezzati, innominabili e per questo ignorati. Ufficialmente non esistiamo. Certo è uno strano modo di fare pastorale, di parlare di sinodalità e “comunionalità” e poi trattare male alcuni.
Al vescovo di questa diocesi richiesi già dodici anni fa di esercitare il proprio diritto-dovere, come stabilisce il Codice di Diritto Canonico, di vigilare affinché in questa fondazione si conservi l'ortodossia della fede e si osservi la disciplina ecclesiastica. Non c'è mai stata una risposta in tutti questi dodici anni. Se i vescovi non vogliono occuparsi di certe realtà che hanno deciso di restare graniticamente cattoliche resistendo fino alla morte al veleno modernistico significa solo che non importa loro proprio nulla di chi vuol restare cattolico. E indirettamente se ne potrebbe dedurre dunque che forse loro non sono più cattolici.
Il vescovo per il monachesimo è importante ma ci si può salvare l'anima anche senza vescovi e senza sacerdoti. Ermenegildo è santo. Il suo vescovo no.
DOMANDA: Lei non ha dunque il riconoscimento canonico come monaco.
RISPOSTA: Guardi, tale riconoscimento canonico come lo si intende oggi non lo avevano neppure tanti nostri padri, da sant'Antonio abate a san Pacomio, da san Macario a san Cassiano. Lo stesso santo nostro padre Benedetto ne era privo. In antico non esisteva neppure una speciale cerimonia di professione monastica. L'assunzione dell'abito era già la professione monastica. Sono dunque in buona compagnia. Non sono i formalismi burocratici che mi preoccupano, ma i miei molti peccati. Ad ogni modo i miei voti sono stati emessi il 3 ottobre 2016 in base al disposto del can. 1192 §1 del Codice di Diritto Canonico. Pertanto posso ben dire di essere un monaco canonicamente regolare. In più ho ricevuto il mio abito monastico da una abbazia benedettina ed è stato benedetto pure sull'altare della patriarcale basilica di san Paolo fuori le mura.
DOMANDA: Lei è molto sensibile alla spiritualità orientale.
RISPOSTA: Diciamo subito che oriente ed occidente per me non sono due mondi contrapposti come li si considera invece oggi. Io ragiono con la stessa mentalità dei miei padri monaci benedettini che mille anni fa vivevano sul Monte Athos, in pace ed amore con gli altri monaci bizantini, considerandosi e trattandosi come fratelli nella fede. Addirittura il cenobio benedettino sulla santa montagna fu fondato su ispirazione di sant'Atanasio di Trebisonda nostro padre. Il fondatore cioè del monastero della grande Lavra e del cenobitismo atonita è anche l'ispiratore del cenobio latino. Per me, dunque, oriente e occidente indicano solo zone geografiche. La spiritualità monastica è la stessa, anche se in occidente la si è praticamente sostituita con la “devotio moderna”. Tra latini e bizantini ci sono certamente motivi di dissidio, ma non li ho creati io né posso risolverli io. E come monaco ho il dovere della ca**tà fraterna, che mi viene ricambiata.
DOMANDA: Va bene ma stiamo parlando del X secolo. In quello successivo ci fu lo scisma del 1054.
RISPOSTA: Noi non possiamo ragionare seriamente basandoci sulle favole. I fatti del 1054 per i contemporanei e ache per i secoli successivi furono insignificanti screzi e battibecchi fra due uomini, il legato papale Umberto ed il patriarca Michele Cerulario.
DOMANDA: Ma comunque il patriarca fu scomunicato.
RISPOSTA: Appunto! La scomunica riguardava solo il patriarca e la controscomunica il solo cardinale Umberto. Senza considerare che il legato papale pare non avesse ricevuto la facoltà di scomunicare nessuno, e quando comunque egli scomunicò il patriarca, a Roma il papa era già morto e quindi era decaduto dal suo ruolo di legato, e pure per questo non poteva scomunicare nessuno. Da qualunque punto si osservi la questione quella scomunica era invalida. E ci abbiamo costruito sopra un castello di contrapposizioni che perdurano tuttora. Non per nulla è solo la storiografia moderna a individuare il 1054 come data dello scisma tra oriente ed occidente. Ma in realtà in quell'anno ci fu solo un battibecco tra due uomini di chiesa. Non era il primo e neppure l'ultimo.
DOMANDA: Paolo VI comunque ritirò la scomunica. E' la conferma che fu ritenuta valida.
RISPOSTA: Certo. Ha ritirato una scomunica che non c'era. Sono le aporie modernistiche finalizzate solo a fare scena nel teatrino ecumenico. Sarebbe bastato dichiarare la non sussistenza di quella scomunica, la quale, se pure era esistita, riguardando solo due persone era cessata con la loro morte. Ma non riguardava due Chiese.
DOMANDA: Però oggi al monte Athos il monastero benedettino non c'è più da secoli.
RISPOSTA: E' vero, ma ciò è dovuto a tutt'altra causa. Il cenobio benedettino fu costruito dalla colonia amalfitana che viveva stabilmente a Costantinopoli e che provvedeva con laute donazioni al sostentamento. La decadenza arrivò sia per l'estinguersi dei benefattori e sia per l'avidità dei soldati latini che vessavano pure gli altri monaci, al punto che più volte i bizantini fecero ricorso a Roma per far cessare tali vessazioni.
DOMANDA: Ma esistono oggi molte realtà bizantine in comunione con Roma. Perché rivolgersi proprio ai bizantini non in comunione?
RISPOSTA: Le realtà monastiche dei bizantini in comunione con Roma sono note per le loro latinizzazioni, sovente scandalose. Ma dobbiamo ragionare esattamente come Benedetto XIV, che era fermamente contrario a ogni latinizzazione, che per i bizantini significa snaturamento. Ovviamente sono contrario pure al percorso inverso di bizantinizzare i latini.
DOMANDA: Può fare qualche esempio?
RISPOSTA: Basta guardare ad un gruppo di sacerdoti bizantini che si appoggia alla Fraternità san Pio X. Difendono le peggiori latinizzazioni che hanno subito o che si sono auto-imposti. E quindi hanno le chiese piene di statuette di plastica e di gesso di pessimo gusto, riempiono le navate di altarini, etc. insomma adottano le peggiori decadenze latine. Viene la nausea solo a vederlo tanto ciarpame. E meraviglia non poco che la Fraternità san Pio X non pretenda da loro l'osservanza delle disposizioni di papa Benedetto XIV.
DOMANDA: Cosa dicono tali disposizioni?
RSPOSTA: Che i bizantini latinizzati, o anche auto-latinizzatisi, devono decidersi: o passano in toto ai riti latini o tornano in toto al rito bizantino eliminando anche la più piccola latinizazione. Ma quella fraternità è nata proprio per difendere anche tali latinizzazioni.


DOMANDA: Ma i cosiddetti ortodossi sono eretici e scismatici.
RISPOSTA: Quando cerchiamo una fonte di acqua pura non badiamo né al proprietario del terreno, né ad altro. Badiamo solo all'acqua. A me interessa la spiritualità monastica antica. Vado ad attingerla alla sorgente. Indipendentemente da chi sia il proprietario del terreno. La spiritualità monastica tradizionale è la stessa per noi e per i greci in dissidio con noi. Se, come ho già detto, è praticamente impossibile trovarla in ambito latino, bisogna andare ad attingerla dov'è. Molti non lo fanno perché più che alla spiritualità badano a chi la può insegnare. Sarebbe come non voler attingere acqua pura da una sorgente solo perché il terreno non appartiene a noi e per questo si preferisce l'acqua del rubinetto anche se puzza di varecchina.

DOMANDA: Come deve essere secondo lei oggi il monachesimo benedettino?
RISPOSTA: Come era in antico, senza distinzioni tra monaci-sacerdoti e monaci-laici; l'unica distinzione è nell'anzianità di professione. “Gli anziani diano ai giovani l'appellativo di "fratello" e i giovani usino per gli anziani quello di "reverendo padre", come espressione del loro rispetto filiale” (Regola, capitolo 63, 12).
L'unica distinzione che può ricevere un monaco-sacerdote è quella di “prender posto dopo l'abate, di dare la benedizione e di recitare le preci finali, purché l'abate disponga così” ( Regola, capitolo, 60, 4). In antico il monaco-sacerdote non distribuiva neppure la santa comunione in quei giorni dove non si celebrava messa, che veniva invece distribuita dall'Abate.
Piuttosto questo pone il problema della preparazione dottrinale e liturgica che anche il monaco laico deve avere, ma che non sempre ha. E poi, per tutti resta la necessità di restaurare una stretta osservanza anche delle penitenze e dei digiuni. Un monastero non può essere una sorta di centro vacanza con tutte le comodità dei luoghi di villeggiatura. A me invece qualcuno ha chiesto proprio questo: “copiare tutte le comodità degli altri monasteri” (Sic!). Insomma, anziché seguire la Regola si vuole seguire chi la Regola non la segue!
DOMANDA: Cosa l'ha spinta a mettersi a costruire un monastero?
RISPOSTA: E' un mistero pure per me.
DOMANDA: Cosa pensa di se stesso?
RISPOSTA: Di essere matto.
DOMANDA: Grazie. Prossimamente possiamo parlare di liturgia?
RISPOSTA: Certo. Dio vi benedica. La vita è breve. Facciamoci santi. E' l'unica cosa che conta. Tutto il resto non vale nulla.

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Young Catholics the world over; from Germany, Austria, Switzerland, Italy, France, Estonia, USA, Nigeria, Indonesia, Croatia, Ireland, and Sri Lanka, make a direct plea to Pope Francis in favor of the Traditional Latin Mass https://t.co/2adI1hARWl

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27/07/2021

⛪️ « Je n'ai pas l'intention de renoncer aux fidèles attachés à la liturgie tridentine, qui ont une grande force missionnaire, alors je trouverai des solutions... sans être obligé de renoncer à une liturgie si féconde en saints et en vocations ! »

— Mgr Dominique Rey

(📸 Paroisse St Francois de Paule)

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COMUNICATO DEL CNSP Cari Amici,ciò che temevamo è purtroppo accaduto: il Motu Proprio restrittivo del Summorum Pontificu...
17/07/2021

COMUNICATO DEL CNSP

Cari Amici,

ciò che temevamo è purtroppo accaduto: il Motu Proprio restrittivo del Summorum Pontificum è stato pubblicato, insieme ad una Lettera di accompagnamento. Abbiamo pregato che al Populus Summorum Pontificum fosse risparmiata questa nuova prova, ma essa si è invece abbattuta su di lui.

Il contenuto del nuovo Motu Proprio conferma, in larga parte, quanto era già stato sin qui anticipato da molteplici fonti. In ciò in cui si discosta dalle anticipazioni, purtroppo le peggiora. Cessa la libertà di celebrare secondo il Messale del 1962, se ne rende assai difficoltoso l’uso da parte dei giovani sacerdoti, si scoraggia decisamente la costituzione di nuovi coetus fidelium, quantomeno nelle diocesi in cui ne esista già almeno uno, si guarda con estremo sfavore alle parrocchie personali destinate alla celebrazione della liturgia tradizionale. Impressiona il bando del rito antico dalle parrocchie, quasi a circoscriverlo entro una specie di cordone sanitario per evitare che il popolo fedele venga a conoscerlo, ad amarlo, a praticarlo. La lettera di accompagnamento, infatti, ci dice chiaramente che quanti sono legati alla liturgia tradizionale – cioè noi, fedeli del Populus Summorum Pontificum – dovranno, dovremo «ritornare al Rito Romano promulgato dai santi Paolo VI e Giovanni Paolo II».

Il Motu Proprio e la Lettera accompagnatoria ci sprofondano inevitabilmente nello sconforto, ci tentano alla disperazione, forse potrebbero addirittura indurci alla risposta rabbiosa ed alla ribellione fine a se stessa.

Ricordiamoci però di Ap. 3, 19: «Ego quos amo, arguo, et castigo. Aemulare ergo, et poenitentiam age» (Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti). Questo può essere per noi il tempo della purificazione. Per farci riflettere sulle nostre debolezze, sulla inadeguatezza del nostro apostolato liturgico e sulle mille occasioni perdute per ignavia, per orgoglio, per presunzione, per clericalismo, per paura, per amore di quieto vivere, per malintesa obbedienza… e, così, per farci strumenti più santi ed efficaci del rifiorire della Chiesa dal suo stesso interno, attraverso il rinascimento liturgico e la sua diffusione tra i buoni fedeli: ciò che incute tanto terrore ai modernisti ormai faccia a faccia con il loro tragico fallimento.

Accettare questa croce, affidandoci a Maria Santissima perché ci sia vicina e ci sostenga nello sforzo di portarla, non vuol dire, però, rinunciare alla giusta resistenza. Tanti amici sconcertati e disorientati si stanno chiedendo che cosa si possa e si debba fare; ed è certo che non resteremo muti e passivi spettatori mentre si cerca di rendere sempre più inattingibile un bene così prezioso come la S. Messa tradizionale.

Ma proprio perché vogliamo resistere, non ribellarci; perché cerchiamo giustizia, e non rivalsa, non possiamo cedere alla tentazione di reagire scompostamente e precipitosamente, sull’onda della forte e dolorosa emozione che ci ha colpito all’uscita del Motu Proprio. Non venga mai meno la ca**tà, ma si difendano la verità, la purezza delle nostre intenzioni e del nostro zelo liturgico, la solidità inattaccabile delle nostre buone e fondate ragioni: si persegua la giustizia nell’amore fraterno e nell’incrollabile attaccamento alla Chiesa di Cristo.

Per questo la nostra prima resistenza – cui ci spinge lo stesso amore per la Chiesa – deve essere, soprattutto in questi momenti concitati, la preghiera: chiediamo di essere illuminati per scegliere con prudenza, ma anche con fermezza, la giusta via, la strada migliore per servire la santità della liturgia, per ribadire con forza, alla luce del magistero liturgico di Benedetto XVI, che «nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto».

Corroborati da una sincera e fervente preghiera, affidati alla protezione potente di Maria Santissima, potremo così intraprendere con coraggio, e dopo matura riflessione, tutto quanto risulterà utile e necessario. Da parte nostra, non ce ne asterremo: come abbiamo già avuto modo di dire quando le prime nubi si addensavano in cielo, non mancheremo né di proporre e realizzare le iniziative che le circostanze renderanno opportune, né di sostenere con entusiasmo quelle che i coetus vorranno intraprendere – nel pieno rispetto verso i nostri Pastori, ma nel sereno esercizio della libertà che il diritto riconosce a tutti i battezzati – per affermare, difendere e diffondere, a vantaggio di tutta la Chiesa, la grandezza della sua millenaria tradizione liturgica e i ricchissimi doni spirituali nuovamente offerti a tutti i fedeli dal Motu Proprio Summorum Pontificum, nell’intatta e provvidenziale pienezza delle sue illuminate disposizioni.

Cari Amici, ciò che temevamo è purtroppo accaduto: il Motu Proprio restrittivo del Summorum Pontificum è stato pubblicato, insieme ad una Lettera di accompagnamento. Abbiamo pregato che al Populus Summorum Pontificum fosse risparmiata questa nuova prova,

05/04/2021

UN DIZIONARIO ENCICLOPEDICO DI LITURGIA? Cari lettori, da molto tempo ci balena l'idea di un testo sul rito romano antico , una sorta quindi di dizionario, di enciclopedia, o appunto, di dizionario enciclopedico. Una buona base di partenza potrebbe essere proprio l'Enciclopedia Liturgica pubblicata in italiano nel 1957. Le molte richieste di consulti che ci giungono dimostrano che ce ne sarebbe la necessità. Invero esiste qualcosa pubblicato prima dell'ultimo concilio, ma oltre a non esser più in commercio, quei testi presentano punti che andrebbero rimodulati, ampliati, a volte pure corretti. In alcuni testi è ad esempio evidente lo spirito modernista dell'autore che pervade l'intera opera. In altri testi non si tiene sufficientemente conto della tradizione. Per un lavoro del genere ci sarebbe bisogno di aiuto, prevalentemente per impaginare i testi, cosa che richiede molto tempo. Ma siccome si vorrebbe corredare il lavoro di disegni in bianco e nero ma dettagliatissimi, ci sarebbe bisogno anche di chi fa questo. Sarà un'impresa realizzabile? O ci si deve accontentare di poter fare solo un dizionario virtuale su internet?

22/03/2021

From the archives. The glorious Wawel in Krakow.

05/03/2021

LA "CETRA LITURGICA"---Quando si abbandonano le tradizioni proprie si crea un vuoto che prima o poi qualcuno o qualcosa tenderà a riempire. Abbandonata la tradizione millenaria del canto gregoriano in lingua latina e senza accompagnamento musicale, ecco oggi dilagare nelle comunità religiose, addirittura pure in quelle monastiche, la "cetra liturgica" che è tradizione cristiana tanto quanto la zuppa di formiche giganti degli aborigeni australiani è tradizione culinaria italiana. Come sappiamo infatti i primi cristiani non usavano nella liturgia alcuno strumento musicale, e tuttora alcune parti della liturgia vanno cantate senza accompagnamento musicale; anche i bizantini non conoscono altro strumento all'infuori della voce umana. Già l'organo fu accolto come eccezione. Buttato via il gregoriano e la lingua che gli è propria, cioè il latino, l'ufficio divino, per dirla con Paolo VI (che pure fu l'iniziatore dello sfascio liturgico anche in questo settore) è stato "ridotto a una recitazione informe, della quale voi stessi sareste certamente i primi a risentire la povertà e la monotonia" (cfr. Lettera Apostolica Sacrificium Laudis). Di fronte a tanta depravazione, di fronte ad un ufficio ridotto a massa informe e miserabile ecco dunque oggi sorgere la "cetra liturgica" per ridargli un pochino di dignità. Ma col medesimo Paolo VI ci si chiede: "Quale lingua, quale canto vi sembra che possa nella presente situazione sostituire quelle forme della pietà cattolica che avete usato finora?" (ibid.). Come siamo ridotti male! Abbiamo tradizioni millenarie che tutti ci invidiano e le buttiamo via per raccattare tradizioni altrui o per inventarne di nuove!

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