20/03/2023
«GLI PERDONO D’AVERMI SFRUTTATA, ROVINATA, UMILIATA. GLI PERDONO TUTTO, PERCHÉ HO AMATO»
(ELEONORA DUSE)
Era lunedì di Pasqua del 1924, Eleonora Duse si spegneva, sola, a causa della tubercolosi.
Morì lontano, a Pittsburgh negli Stati Uniti. La sepoltura avvenne nel cimitero di Sant’Anna d’Asolo, dove l’attrice possedeva una casa.
Lasciò scritto d’essere seppellita rivolta al Monte Grappa, in onore dell’Italia e dei soldati che aveva assistito durante la Prima Guerra Mondiale.
Nel momento finale si ricordò dei grandi amori: la Patria e Gabriele D’Annunzio.
D’Annunzio alla notizia della morte dell’attrice avrebbe confessato «E’ morta quella che non meritai.»
Eleonora Duse nacque a Vigevano nel 1858 da una famiglia d’attori. Sin da bambina calcò le scene al seguito dell’itinerante attività di famiglia. A soli quattro anni interpretò la parte di Cosetta in una versione teatrale de I Miserabili.
Passati da poco i vent’anni, Eleonora Duse era già adorata dal pubblico, grazie ad alcune interpretazioni tra cui Teresa Raquin di Zola, e anche la critica riversava commenti entusiastici nei confronti della giovane attrice. Nel 1879, a 21 anni, entra nella compagnia Semistabile di Torino di Cesare Rossi.
Due anni dopo Eleonora sposa Tebaldo Marchetti: dalla loro, infelice, relazione nascerà una bimba, Enrichetta.
Nel 1884 l’attrice conobbe Arrigo Boito, cui si legò segretamente. L’amicizia con il letterato permetterà all’attrice di frequentare il mondo della Scapigliatura. Dalla frequentazione Eleonora uscirà arricchita della conoscenza dei drammi di Giuseppe Giacosa.
In quegli anni avvenne il primo incontro con Gabriele D’Annunzio.
Roma, 1882.
Gabriele D’Annunzio è un giovane letterato in via d’affermazione: all’epoca aveva già pubblicato tre opere. L’incontro è nello stile dello scrittore: si presenta alla vista d’Eleonora chiedendo di poter giacere con lei. L’attrice risponde con un secco rifiuto e con un segreto compiacimento stando alle sue parole: «Già famoso e molto attraente, con i capelli biondi e qualcosa d’ardente nella sua persona.»
Gabriele nasce a Pescara nel 1863, cinque anni dopo Eleonora, da una famiglia benestante. Terzo di cinque figli, visse un’infanzia felice. Dai maschi della famiglia, padre e zio, acquisì la disinvoltura nei rapporti amorosi con le donne e la capacità di contrarre debiti. Dalla madre la sensibilità e l’amore per il bello. Durante gli anni del liceo, a Prato in Toscana, decide di scrivere una lettera a Giosuè Carducci, all’epoca dei fatti il letterato più famoso dell’Italia unita.
Vogliamo comprendere l’uomo Gabriele?
Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del figlio, una raccolta di poesie dal titolo Primo vere. L’edizione ebbe gran successo ottenendo critiche entusiastiche su riviste nazionali. Il giovane decise di pubblicizzare l’uscita del volume con un espediente: diffuse la notizia della propria morte a causa di una caduta da cavallo.
Da subito il personaggio D’Annunzio fu discusso ed acclamato. Fu lo stesso scrittore a smentire la notizia.
Fini il liceo iscrivendosi alla facoltà di Lettere di Roma: non concluderà mai gli studi.
Gli anni romani furono decisivi per la formazione del giovane scrittore abruzzese, grazie alla frequentazione del mondo culturale, e mondano, di Roma capitale del Regno. Nel 1882, nelle vesti di cronista della rivista Tribuna, avvicina per la prima volta Eleonora Duse. L’attrice è molto bella, forse troppo, e attira l’attenzione di Gabriele:«è molto più che bella. Di un pallore opaco e un po’ olivastro, la fronte solida sotto le ciocche nere, le sopracciglia serpentine, i begli occhi dallo sguardo clemente, una bocca grande, pesante nel riposo ma incredibilmente mobile e plastica. La voce è chiara e fine.»
Queste le parole utilizzate del critico Jules Lemaitre a riguardo dell’attrice. Più dure, notevolmente, le righe lasciateci da Gide su D’Annunzio: «E’ piccolo, da lontano la sua figura parrebbe ordinaria o già nota: non c’è nulla in lui che ostenti letteratura o genio. Porta una barbetta a punta di un biondo pallido e parla con voce nitida un po’ gelida, ma morbida e quasi leziosa. Ha uno sguardo freddo, forse un po’ crudele ma probabilmente è l’apparenza della sua delicata sensualità a farmelo appare tale.»
Gli anni corrono e il tempo fugge.
1888, Roma.
Teatro Valle: Eleonora ha da poco concluso la sua performance nella Signora delle camelie, Gabriele si pone sul suo cammino una seconda volta. D’Annunzio si avvicina urlando: «o grande amatrice!». Eleonora prosegue la strada verso il successo, ignorando le attenzioni del poeta.
In quel periodo confida all’ex amante, ora amico, Arrigo Boito: «Preferirei morire in un cantone piuttosto che amare un’anima tale. D’Annunzio lo detesto, ma lo adoro».
Trascorrono quattro anni e D’Annunzio scrive una dedica all’attrice, alla divina Eleonora Duse. Lo scritto incuriosisce oltre modo Eleonora che decide d’incontrare lo scrittore. Secondo le biografie, la relazione inizia il 26 settembre 1895, anche se un incontro a Venezia avvenuto l’anno precedente potrebbe aver creato un avvicinamento tra i due illustri personaggi.
Il legame che nasce è tempestoso, la passione amorosa e sentimentale fragorosa, come un torrente di montagna ingrossato dalle piogge estive.
Si incontrano raramente, lui impegnato nella stesura d’opere letterarie, lei in qualche tournée in giro per l’Europa. Si scambiano lettere appassionate e piene d’ardore.
La tisi ha iniziato il suo percorso nel corpo dell’attrice.
Il rapporto sentimentale giova sensibilmente a Gabriele poiché Eleonora Duse porta sulle scene alcune sue opere, spesso finanziando con i propri soldi la messa in scena. Giova ricordare che l’attrice era famosa ed acclamata non solo in Italia ma anche in Europa. Tra i drammi presentati sul palco da ricordare La Gioconda, Francesca da Rimini e La città morta.
Nel 1896 il poeta preferì l’attrice Sarah Bernhardt per la prima rappresentazione francese del La ville morte. Quest’accadimento creò delle crepe nel rapporto sentimentale e amoroso tra i due, che durò quasi dieci anni tra alti e bassi.
Nel frattempo si sono trasferiti a Settignano, nei pressi di Firenze. Il poeta affittò Villa La Capponcina per risiedere vicino la sua amata Eleonora, la cui Villa Porziuncola stava sull’altro lato della strada. D’Annunzio arredò con estremo gusto la villa, dotandola d’arredi quattrocenteschi. Del periodo, dal 1898 al 1910, si disse che visse da «signore rinascimentale, fra cani, cavalli e belli arredi».
Nel 1900 D’Annunzio pubblicò un romanzo, dal titolo Il Fuoco, sulla relazione con Eleonora Duse, suscitando critiche da parti dei sostenitori dell’attrice.
Il turbine dell’amore conduce Eleonora ad innamorarsi follemente di Gabriele. Il poeta, a modo suo, la ama «voglio possederti come la morte possiede. Voglio raccoglierti come un fascio spicanardo legato con un vimine. E poi voglio disperderti, soffiare sopra di te e disperderti come il tarassaco si disperde al vento, disperderti alla rosa dei venti, discioglierti nel gran tutto ».
La malattia pervade il corpo d’Eleonora. L’attrice soffre nel fisico e nel cuore poiché si vede scippata della parte di Mila di Codra nella Figlia di Iorio, scritta da Gabriele, dalla giovane Irma Gramatica. Eleonora non resiste e scriverà: «Tu mi hai accoppata, e con che arte, la tua».
La storia d’amore lentamente si spegne, come la vita all’interno del corpo d’Eleonora.
Gabriele si lega alla giovane Alessandra di Rudinì, figlia dell’ex presidente del Consiglio, bellissima ma noiosa ragazza che condurrà il poeta sulla strada dei debiti, vizio presente nei maschi della famiglia D’Annunzio.
Il lunedì di Pasqua nel 1924, Eleonora sopraffatta dalla tubercolosi muore all’età di 66 anni.
Il Vate le sopravvisse quattordici anni struggendosi, forse, nel dolore della perdita.
«Io dico che bisogna esser veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso un lungo, immenso ragionato disordine di tutti i sensi» (Arthur Rimbaud)
Fabio Casalini