13/07/2018
PRIMO CLASSIFICATO: Matteo Arena
PREMIO: Racconto dedicato, di Ma**ca Roberto
LA SCIMMIETTA
Da millanni che osservo i bambini quaggiù. Mi incarico di tutto. Se un piantarello scende d’improvviso da piccoli occhi innocenti io metto in campo tutta la mia giocoleria, salto e rido – lo vedrete – faccio la buffona, mi capovolgo e m’aggrappo ad ogni ramo pendente.
Solo loro mi vedono. Loro dico, i bambini. Bisogna avere proprio quegli occhi piccoli e innocenti, proprio quelli che hanno versato lacrimucce su animali feriti, o pianti sgorganti (a volte di capricci lagnanti) – dicevo, scusate mi sono distratta – bisogna avere proprio quegli occhi lì per vedere una scimmietta come me, di pietra come me, che in un sol colpo si muove e sghignazza per trasformare le lacrime e blandire i dispiaceri.
Poi, guardo, guardo se qualche intruso si insinua a disturbare le risate fatate di codesti bimbetti. Vogliono esser lasciati soli a scialarsi un po’ da sé. Non vogliono occhi di grandi, intrusi grandi, che non vedono scimmiette vere, che non vedono più niente, incartati nella loro adultità ingiallita.
Poi, poi controllo i loro giochi privi di pensieri, che non s’arrampichino più oltre della loro fantasia, che non vadano più in là del gorgoglio dell’anima bambina, che possano cadere per rialzarsi in libertà. Tutto questo faccio.
Ed altro.
A dire la verità anche io me la godo di quassù. Se mi tirano la coda ne approfitto per saltare; ogni tanto, senza parere, con mano rapida rubo sì - lo devo ammettere - qualche piccola banana, un po’ d’acqua avanzata, e così tra soli e lune, vado avanti nei miei giorni.
Giorni non sono, secoli sono: ricordo ancora la prima bambina, fiocchetti deliziosi e vestitino lungo, bianco,
chiacchierava a più non posso con formiche, con i cani, con gattini, li cercava proprio tutti, e con modi e con versi, strani come quelli dei piccoli umani, stava dentro al mondo vivo della natura, di tutto quel verde.
La presi subito in simpatia, non sapevo mica che avrebbe iniziato una dinastia, sapevo però che avrebbe riempito questo giardino di trilli superbi, di canti meravigliati, e meraviglianti.
Fu proprio lei che in uno dei suoi discorsi strani m’affidò questo compito che io assolvo da anni - e così sarà per sempre nei secoli dei secoli dei secoli - di guardare ogni pupo che s’aggiri in questi luoghi, sia nel bene sia nel male, perché non c’è uomo migliore di un bambino accudito, ben guardato, ben amato.