La Borsa Valori di Torino fu istituita nel 1850 con un decreto reale e la sua sede venne stabilita presso la Camera di commercio, in via Alfieri 9. Nel 1873 La Borsa Valori fu trasferita nel Palazzo d’Agliano o Morozzo della Rocca, edificio che venne definitivamente abbandonato nel 1943 a causa dei danni provocati dai bombardamenti bellici.
Le contrattazioni furono temporaneamente ospitate dal Circolo degli artisti in via Bogino 9, finché nel 1951, a seguito di un concorso bandito dalla Camera di commercio di Torino e vinto dal progetto “Stellage” degli architetti Gabetti, Isola e Raineri, si diede inizio alla costruzione del palazzo della Borsa Valori, che fu terminato nel 1956. Qui si svolsero le contrattazioni fino al 1992, quanto l’attività cessò a causa dell’avvento della borsa telematica.
“Edificio straordinario per il disegno dirompente, la Borsa Valori è al tempo stesso un’architettura di grande equilibrio; per la completezza della sua composizione, fatta di armoniche relazioni fra tutti i suoi elementi, ma soprattutto per la capacità di confrontarsi con lo spazio e con le altre presenze in una dimensione aulica, che richiama i grandi episodi dell’architettura pubblica sabauda“.
La vita di Borsa si svolge quasi per intero nel salone delle contrattazioni, che è l’elemento essenziale dell’edificio.
La grande sala quadrata di circa 40 metri di lato, è coperta da una cupola in cemento armato e prende luce sui due lati opposti (a mezzanotte-levante verso il giardino e a mezzogiorno-ponente verso via Cavour). La parete di fondo separa da una proprietà privata, quella opposta è la facciata interna del corpo uffici, che si aprono sul salone con vetrate, gallerie, finestre.
La cupola che copre il salone è sostanzialmente una volta a padiglione quadrato, nervata da travi convergenti in fulcri di appoggio situati su pilastroni, cinque per ogni lato del perimetro della cupola. L’altezza massima della cupola del salone, dalla quota del piano pavimento al vertice, è pari a 16 metri.
All’esterno dell’edificio l’alta zoccolatura è in bugne di basalto a spacco naturale. In essa si aprono le finestrelle delle cabine telefoniche e le finestre del piano rialzato degli uffici.
Tutti i serramenti sono in ferro-finestra, colorati in rosso scuro. Davanzali, stipiti, architravi delle finestre, e le pareti dell’atrio d’ingresso, sono in lastrine di basalto martellinato.
Per capire il peso e il ruolo che la costruzione di questo edificio ebbe in quegli anni occorre innanzitutto capire come era Torino, la company town, e cos’era in particolare nel 1952 l’architettura a Torino.
“Torino era il polo di riferimento per il resto d’Italia, se guardavi all’architettura dal punto di vista delle case di residenza e degli edifici industriali. La Fiat o la Recchi determinano linee di sviluppo dell’industria delle costruzioni di successo notevole, dagli anni cinquanta agli anni sessanta. Naturalmente la città doveva fare i conti con il genio di Carlo Mollino, non facilmente riconducibile a correnti o scuole, un lieber Meister tanto presente quanto difficile proprio come architetto da seguire. D’altronde a Torino venivano realizzate due delle opere più famose di Nervi, in occasione del centenario dell’unità d’Italia, che entravano nell’immaginario architettonico mondiale: Torino Esposizione e il Palazzo del Lavoro. Qui lavorano, oltre a Nervi, anche ingegneri strutturalisti come Sergio Musmeci e Ricardo Morandi” (Alberto Papuzzi, a cura di, La Borsa Valori di Torino. Il progetto, la sua storia, ed. Allemandi).
Negli anni della sua costruzione, quindi, l’edificio aveva i caratteri originali dell’opera di avanguardia. Se l’architetto è soprattutto un anticipatore, egli proietta un’idea in un disegno che mette a fuoco il futuro. È la capacità di anticipare a determinare uno stile. In questa chiave Gabetti e Isola, con i fratelli Raineri, si cimentarono con una rottura rispetto alla cultura della loro epoca. La ribellione architettonica della Borsa Valori anticipava il gusto degli anni Sessanta.